Accertamento legittimo anche se l’indagine l’ha svolta l’Inps

L’avviso di accertamento risultante dall’esercizio di un potere amministrativo frazionato – anche in poteri istruttori attribuiti, in proprio o per delega, ad altri uffici amministrativi – è legittimamente adottato quando, munendosi di un’adeguata motivazione, faccia propri i risultati conseguiti nelle precedenti fasi procedimentali.

A tali conclusioni sono pervenuti i giudici di legittimità con la sentenza n. 3555 del 13 febbraio 2009.

Il fatto
La controversia ha quale oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento, con il quale l’ufficio, sulla base di un processo verbale redatto dagli ispettori dell’Inps, contestava a un contribuente di non avere operato, nonché versato, le ritenute alla fonte sui compensi corrisposti a un suo dipendente.
I giudici di primo grado respingevano il ricorso, mentre la Commissione tributaria regionale accoglieva le doglianze del ricorrente.
In particolare, per i giudici di appello, l’avviso di accertamento era illegittimo, in quanto si fondava su un verbale redatto dall’ispettorato provinciale del Lavoro “non suffragato da alcun riscontro oggettivamente accertato”, con il quale venivano riprese a tassazione ritenute presuntivamente non effettuate e non versate.
In altri termini, la Ctr riteneva che si trattasse di un imponibile teorico, costruito ipoteticamente sulla base dei valori desumibili dal Ccnl del settore commercio, “acriticamente recepito dall’ufficio” e costituito da alcune testimonianze, peraltro, non ammesse nel processo tributario, ai sensi dell’articolo 7 del Dlgs 546/1992.
 
Contro la sentenza di secondo grado, l’agenzia delle Entrate ha insistito in sede giurisdizionale, deducendo che la Ctr sarebbe incorsa in un errore di diritto quando ha affermato che l’avviso di accertamento non si può basare su un atto ispettivo dell’Inps, senza che poi l’ufficio valuti autonomamente gli elementi acquisiti dallo stesso ente.
In buona sostanza, è la stessa legge tributaria a prevedere che gli atti impositivi possano basarsi sugli atti di ispezione posti in essere da altri organi (come ad esempio quelli emessi dell’Inps).
L’Amministrazione finanziaria ha inoltre osservato che l’acquisizione della prova testimoniale doveva ritenersi pienamente valida, in quanto ottenuta legittimamente in sede extraprocessuale. Questo perchè, nel caso in esame, il rapporto di lavoro non era stato contestato.
 
La sentenza
I giudici di legittimità hanno ritenuto fondate le doglianze dell’agenzia delle Entrate, affermando che l’ufficio accertatore, quando altri organi istruttori (ad esempio, Inps) abbiano compiuto un’attività preparatoria alla sua decisione, può fare proprie e avvalersi delle prestazioni cognitive poste in essere da questi ultimi, senza che sia obbligato a svolgere un’ulteriore e autonoma attività istruttoria.
L’Amministrazione finanziaria può dunque utilizzare, nell’esercizio del suo potere di accertamento, i risultati dell’attività istruttoria (che siano rilevanti anche ai fini tributari) svolta dagli organi ispettivi dell’Inps e, conseguentemente, l’atto di accertamento, che fa rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dal suddetto ente, se adeguatamente motivato, non può essere considerato illegittimo per mancanza di autonoma valutazione, da parte dell’ufficio, degli elementi acquisiti dal suddetto organo ispettivo.
 
Il titolare del potere di decisione, ha precisato la Corte, quando pone in essere l’atto amministrativo finale d’imposizione tributaria (avviso di accertamento) “non è tenuto a reiterare” l’esercizio dei poteri d’iniziativa e, soprattutto, istruttori – attribuiti ad altri uffici amministrativi, in proprio o per delega – che hanno preparato la sua attività.
Ciò contrasterebbe, oltre tutto, in maniera netta con i principi di economicità e di efficienza, che sono enunciati dall’art. 1, comma 1, della Legge n. 241/1990, in attuazione del principio costituzionale di buon andamento dell’amministrazione pubblica ex art. 97, comma 1, della Costituzione” (cfr Cassazione, sentenze 1236/2006, 19373/2003, 10205/2003).
Insomma, quello che conta è che l’atto di accertamento sia sufficientemente motivato, anche per relationem, in modo da non arrecare alcun pregiudizio al contribuente e “per assicurare come, quale e quanta parte dell’attività preparatoria sia stata recepita nella decisione” (articolo 3, legge 241/1990 e articolo 7, legge 212/2000).
 
Peraltro, in materia di accertamento delle imposte dirette, gli articoli 32, comma 1, n. 5 e 33, comma 2, del Dpr 600/1973 dispongono che l’ufficio tributario possa richiedere agli organi dell’amministrazione pubblica (comprensiva degli enti pubblici non economici) la comunicazione di dati e notizie relativi a soggetti passivi ai fini delle imposte sui redditi.
Nell’ambito del principio suesposto si deve, pertanto, affermare che legittimamente l’Amministrazione finanziaria può utilizzare, per l’esercizio del suo potere di accertamento, l’attività istruttoria svolta dall’Inps, naturalmente se rilevante ai fini tributari.
 
La sentenza assume particolare interesse non solo per gli aspetti sopra evidenziati, ma anche per le precisazioni offerte in merito al divieto di ammissione della prova testimoniale nel giudizio davanti alle Commissioni tributarie (articolo 7, comma 4, del Dlgs 546/1992).
In proposito, la Corte ha difatti dichiarato, ponendosi in linea con altre pronunce espresse dalla giurisprudenza di legittimità, che trovano ingresso nel processo tributario le dichiarazioni rese da terzi agli organi dell’Amministrazione finanziaria “o a quelli che hanno svolto per essa attività istruttoria tributariamente rilevante, come si verifica nel caso di specie, per l’attività ispettiva dell’Inps” (cfr Cassazione, sentenza 4269/2002).
 
In altre parole, i giudici di legittimità, nel considerare fondata la seconda doglianza dell’ufficio, hanno ritenuto che non sono vietate nel processo tributario le testimonianze incorporate nell’atto ispettivo emesso dall’Inps, in tema di omesso versamento di ritenute d’acconto.
Infatti, il divieto di ammissione della prova testimoniale nel giudizio innanzi alle Commissioni tributarie, si riferisce alla prova testimoniale da assumere nel processo (che è necessariamente orale, di solito a iniziativa di parte, richiede la formulazione di specifici capitoli, comporta il giuramento dei testi e riveste, conseguentemente, un particolare valore probatorio) “e non implica, pertanto, l’inutilizzabilità, ai fini della decisione, delle dichiarazioni raccolte dall’Amministrazione nella fase procedimentale amministrativa e rese da soggetti estranei – soggetti terzi rispetto al rapporto tra il contribuente/parte e l’Erario – al rapporto giuridico tributario”.

Tali informazioni testimoniali hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari e devono, pertanto, essere necessariamente supportate da riscontri oggettivi (cfr Cassazione, sentenza 903/2002).

Fonte: Fiscooggi.it

 

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