Italia, le operazioni con l’estero, gli Stati e i territori black list – 3

Il Parlamento italiano, di fronte ai "rischi" connessi alle attività con soggetti residenti all’estero, e in particolare con quelli soggetti a giurisdizioni in grado di garantire un trattamento tributario più vantaggioso rispetto a quello spettante alle attività con soggetti residenti in Italia, ovvero in Stati e territori con analogo sistema fiscale, ha approntato alcuni interessanti "rimedi". La tassazione in Italia degli utili prodotti dalle società controllate e collegate estere (articoli 167, 168 e 168-bis, Tuir), fatta salva la possibilità di esercitare l’interpello specifico dimostrando l’effettività della struttura estera, ovvero la non-delocalizzazione dei redditi a scopo di vantaggio fiscale; l’integrale tassazione dei dividendi provenienti, anche indirettamente, da Stati e territori fiscalmente privilegiati, fatto salvo l’esercizio del diritto di interpello (articolo 47, quarto comma, Tuir); il vincolo alla deducibilità dei costi e degli altri componenti reddituali negativi derivanti da operazioni con soggetti fiscalmente residenti in Stati e territori privilegiati, disapplicabile in sede di interpello speciale ai sensi degli articoli 110, commi 10 e 11, Tuir, nonché 11 e 21, della legge n. 413 del 1991.

Le finalità della normativa antielusiva
Si tratta di una particolare normativa antielusiva la cui finalità è riconducibile all’esigenza di evitare un vantaggio fiscale disapprovato dall’ordinamento ma con la specificità costituita dall’utilizzo dei differenziali tributari (quanto all’aliquota, alle agevolazioni, alla determinazione degli imponibili, etc.) tra Stati e territori diversi. Per tale ragione, il legislatore ha inteso valorizzare alcune circostanze in presenza delle quali l’attività economica o il sostenimento di costi, sono ritenuti giustificati. Si tratta, per l’appunto, dell’effettività e principalità dell’attività economica esercitata e della non-delocalizzazione dei redditi in paradisi fiscali (circostanze da dimostrare alternativamente nell’interpello Ccf), ovvero alla rispondenza delle operazioni economiche, che si sono concretamente verificate, a un effettivo interesse economico (nell’ambito dell’interpello speciale sui costi esteri). In definitiva, si è quindi in presenza di una semplificazione delle valide ragioni economiche, in presenza delle quali scatta la disapplicazione. Il tutto è subordinato al positivo esperimento dell’interpello all’agenzia delle Entrate, con onere probatorio a carico dell’interpellante, ovvero, per i costi esteri, previa dimostrazione in sede di accertamento

I Paesi black list
I vincoli sopra indicati operano per una serie di Stati e territori che sono stati inseriti: a) nel decreto ministeriale 21 novembre 2001 (Cfc); b) nel decreto ministeriale 23 gennaio 2002 (costi esteri). Diversamente da quanto accade in materia di società Cfc (controllate e partecipate estere black list), il regime di indeducibilità per i costi esteri (articolo 110, decimo comma, Tuir) è soggetto alla condizione che i componenti reddituali negativi indeducibili derivino da operazioni poste in essere con Stati o territori non appartenenti all’Unione europea. Tale specificazione non è priva di effetti, dato che vi sono Stati, ad esempio il Lussemburgo, che, inclusi nelle black list, fanno parte dell’Unione europea. Per tali giurisdizioni opera quindi il regime di trasparenza fiscale delle Cfc (salva la possibilità di interpello ex articolo 167, quinto comma, Tuir) ma non anche l’indeducibilità dei costi.
Il decreto ministeriale del 2001
L’individuazione degli Stati e territori fiscalmente privilegiati, per l’applicazione della normativa Cfc, è stata operata con il decreto ministeriale 21 novembre 2001, cui ha fatto seguito a breve distanza di tempo dal (pressoché identico) decreto ministeriale 23 gennaio 2002, relativo agli Stati e territori rilevanti per la disciplina di indeducibilità dei costi esteri. Il carattere "fiscalmente privilegiato" è ricondotto in tale contesto: al livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia; alla mancanza di un adeguato scambio di informazioni; ad "altri criteri equivalenti".
A tale riguardo, facendo richiamo ai lavori preparatori della legge n. 342/2000, il preambolo del decreto precisa che, in sede di prima applicazione della disciplina, il livello di tassazione andava considerato "sensibilmente inferiore" se in media inferiore al 30 per cento almeno rispetto al livello di tassazione medio applicato in Italia. Secondo lo schema tracciato dal decreto, è operata una tripartizione degli Stati e territori black list, dato che sono presenti: Stati/territori considerati sempre "fiscalmente privilegiati"; Stati /territori considerati "fiscalmente privilegiati" con l’esclusione di alcune tipologie societarie; Stati/territori considerati "fiscalmente privilegiati" limitatamente a determinati soggetti e attività.

Per quanto attiene alle attività e ai soggetti fiscalmente privilegiati, che comportano l’applicazione limitata delle disposizioni Cfc negli Stati e territori interessati è precisato che si riconosce natura "privilegiata" anche ai soggetti e alle attività che usufruiscono di regimi fiscali agevolati sostanzialmente analoghi a quelli espressamente indicati, in virtù di accordi o provvedimenti dell’Amministrazione finanziaria dei medesimi Stati/territori.

Le holding lussemburghesi del 1929
Pur essendo uno Stato membro dell’Unione europea, il granducato del Lussemburgo è compreso nella black list del decreto ministeriale del 21 novembre 2001, limitatamente alle c.d. "holding del 1929". A tale riguardo, può essere osservato che in tale Paese i soggetti societari godono tradizionalmente di rilevanti agevolazioni fiscali, sia che si tratti delle predette holding, che con riferimento alle So.par.fi. (queste ultime, societè de partecipations financières, sono state introdotte nel 1990 per ottemperare agli obblighi sanciti dalla direttiva 90/435/CEE, per poter beneficiare del regime impositivo "madre-figlia", escluso per le società non assoggettate ad imposte sui redditi, come le holding del 1929). Tali società possono svolgere unicamente attività finanziarie, essendo ad esse preclusa l’effettuazione di attività di tipo commerciale o industriale, nonché la prestazione di servizi, con l’esclusione di quelli finalizzati al compimento delle operazioni finanziarie che fanno parte dell’oggetto sociale.
Le holding del 1929 non sono assoggettate all’imposizione ordinaria sui redditi, con riguardo sia alle plusvalenze originate dalla loro cessione che ai dividendi provenienti dalle consociate. Sono invece assoggettate a un’imposta di registro (droit d’apport), con aliquota dell’1 per cento, sul capitale sociale, da versare contestualmente alla costituzione e, in caso di aumento del capitale, a una tassa annuale (taxe d’abonnement), con aliquota dello 0,20 per cento sul valore complessivo dei titoli rappresentativi del capitale versato. Per queste holding il regime fiscale agevolato ha comportato l’esclusione dalla convenzione Italia-Lussemburgo contro le doppie imposizioni. Le preclusioni risultano applicabili anche alle c.d. holding "miliardarie", previste dal decreto granducale del 17 dicembre 1938, caratterizzate da un capitale sociale particolarmente elevato (almeno 24 milioni di euro) e dalla spettanza di ulteriori vantaggi fiscali (cfr. risoluzione agenzia Entrate n. 345 del 5 agosto 2008). Relativamente alle tipologie societarie lussemburghesi sopra indicate, la Commissione europea (comunicazione C-3/2006) ha invitato il granducato a presentare osservazioni nell’ambito
di una procedura di infrazione, considerando quali aiuti di Stato i regimi fiscali agevolati.

I criteri di individuazione ai fini delle black list
Come si è visto sopra, il legislatore ha disposto l’inclusione nelle black list degli Stati e territori, ovvero delle società e delle attività, in presenza delle quali il livello di tassazione è inferiore (in misura sensibile) rispetto a quella italiana, ovvero non sussista uno scambio di informazioni adeguato, e in presenza di criteri "equivalenti". Se in sede di prima applicazione, ossia con riferimento agli Stati e territori compresi nella prima versione del decreto, era richiesto uno scostamento di almeno il 30 per cento rispetto al livello di tassazione italiano (ciò che comunque implica già non poche difficoltà applicative) nelle fasi successive, cioè per i nuovi inserimenti, dovrebbe ritenersi opportuno un puntuale monitoraggio sulle attività e sulle società considerate, in un’ottica comparativa (Italia versus Paese estero black list).
A tale riguardo, occorrerebbe intendersi che lo scostamento "sensibile" si dovrebbe avere tra valori "medi" riferiti alle attività d’impresa. Guardando alla situazione italiana, la media come può essere individuata? Per settori di attività, ovvero con riferimento a tutte le imprese? E quale attendibilità potrebbe avere il calcolo, dal momento che si troverebbe a includere le imprese soggette a regimi fiscali agevolati (nel corso della storia recente, ad esempio, Dit, "super-DIT", "Tremonti" e "Tremonti-bis", "Visco sud", etc.)? Inoltre, come ben dimostrano i lavori preparatori della Finanziaria 2008, una bassa aliquota nominale dell’imposta societaria può ben essere compensata dall’ampliamento delle basi imponibili. A voler essere rigorosi, quindi, occorrerebbe compiere un esame comparato (e proiettato sulla situazione delle varie tipologie di imprese, grandi, medie, piccole, nonché dei vari settori economici) che tenga conto delle aliquote d’imposta e delle modalità di determinazione delle basi imponibili.
Nell’ottica della semplificazione massima, lo scostamento tra il livello impositivo dell’Italia e quello dello Stato/territorio estero potrebbe intendersi come commisurato alla somma delle aliquote ordinarie Ires e Irap (attualmente 27,50% + 3,9% = 31,4%), anche se il venir meno del criterio del 30 per cento si presta a notevoli incertezze quanto alla concreta determinazione delle giurisdizioni "a rischio".
Per quanto attiene invece ai criteri "equivalenti" che possono essere considerati dal legislatore ai fini dell’inclusione nelle black list, forse potrebbe guardarsi a regimi agevolati riferiti a particolari operazioni d’impresa, ma la cosa non risulta chiara. È invece abbastanza chiaro cosa si intenda per inclusione di imprese soggette a regimi fiscali "equivalenti" (anche con il supporto di pronunce dell’Amministrazione, come la già ricordata risoluzione del 2008 sulle holding "miliardarie").

Le osservazioni dell’Adc di Milano
Nell’ambito di una comunicazione inoltrata alla Commissione una nota Associazione di professionisti ha richiamato la sentenza della Corte di Giustizia dell’Ue in esito alla causa C-196/04 ("Cadbury Schweppes plc & Cadbury Schweppes Overseas Ltd / Commissioners of Inland Revenue") ritenendo che le black list non possano essere predisposte utilizzando come criterio selettivo la (sola?) circostanza che lo Stato estero applichi un livello d’imposizione inferiore a quello dello Stato membro interessato, fermo restando il diritto degli Stati membri dell’Ue di adottare misure idonee a impedire abusi del diritto comunitario, ma nel rispetto dei fondamentali principi di causalità e proporzionalità. È altresì affermato nel documento in esame che, anche secondo l’Ocse, la tassazione anche soltanto nominale nel Paese estero non sarebbe di per sé sufficiente a caratterizzarlo come paradiso fiscale, in contraddizione con la vigente formulazione dell’articolo 167, quarto comma, del Tuir.
Sempre secondo la nota Associazione di professionisti, che si è espressa in ordine alla disciplina italiana di integrale tassabilità dei dividendi black list, l’Ocse, con il rapporto "The OECD’s Project on Harmful Tax Practices: The 2001 Progress Report" ha aderito alla richiesta dei Paesi a fiscalità privilegiata di cancellare dai criteri definitori del concetto di paradiso fiscale l’assenza di disposizioni che prevedono l’esercizio di un’attività economica sostanziale come condizione per poter beneficiare dei regimi agevolati (no substantial activities). Inoltre tutti i Paesi originariamente iscritti nella "black list" Ocse, tranne Andorra, Liberia Liechtenstein, Isole Marshall e Principato di Monaco, si sono formalmente impegnati a garantire la trasparenza e lo scambio d’informazioni e sono, quindi, stati depennati da tale "black list" Ocse.
In ogni caso è importante comunque distinguere tra linee-guida elaborate in sede Ocse e normativa italiana, rammentando che il sistema vigente, fondato sulle black list, verrà accantonato, dopo l’emanazione dei decreti ministeriali previsti dalla Finanziaria 2008, a favore di un regime fondato su white list di Paese fiscalmente "corretti".

Nuovo Fisco Oggi

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