Le fatture faxate dal fornitore non consentono di dedurre i costi

Con la sentenza n. 4502 del 25 febbraio 2009, la Corte di cassazione è intervenuta in tema di accertamento del reddito di impresa stabilendo che la disposizione dell’articolo 22 del Dpr 600/1973 costituisce norma derogatoria dell’ordinario regime civilistico delle prove documentali in merito all’equiparazione fra originale e copia della quale non sia contestata la conformità. L’obbligo di conservazione degli originali delle fatture non può dunque essere ovviato mediante esibizione di copie fotostatiche ovvero teletrasmesse via fac-simile (trasmissione telefax) in assenza di idonea giustificazione da parte del contribuente per l’indisponibilità dell’originale.
Peraltro, la questione affrontata, essendo connotata dal requisito della "novità", ha comportato la compensazione delle spese del giudizio di legittimità, nonostante la reiezione del ricorso del contribuente che pretendeva di documentare dei costi a mezzo della fotocopia del fax.

Il fatto
Nel dettaglio, la controversia riguardava un avviso di accertamento attraverso il quale l’Amministrazione finanziaria riprendeva a tassazione una serie di costi dedotti da una società, supportati non dagli originali delle fatture, bensì da copie-fax di queste ultime inviate dal proprio fornitore.
Il ricorso contro l’atto impositivo veniva accolto dalla Commissione tributaria provinciale adita, ma ribaltato in appello, ritenendo legittimo il secondo giudice il disconoscimento dei costi dedotti sulla base di fotocopie dei fax delle fatture di acquisto, in considerazione che l’articolo 22 del Dpr 600/1973 impone la conservazione degli originali degli atti ricevuti quale unica garanzia di una contabilità regolarmente tenuta, mentre le fotocopie non offrono le stesse assicurazioni di integrità dei documenti originali.

Il conseguente ricorso per Cassazione è sorretto da due motivi, con i quali la società soccombente denuncia la sentenza del riesame, rispettivamente:

  • per erronea interpretazione dell’articolo 22 del Dpr 600/1973, sottolineando, al contrario dell’erroneo convincimento della Commissione regionale, come la copia del fax abbia la stessa efficacia probatoria dell’originale
  • per violazione dell’articolo 75 del Dpr 917/1986 (testo vigente ratione temporis), in quanto, pur ammettendo che la documentazione in copia non fosse formalmente corretta, dal punto di vista sostanziale non doveva essere messa in discussione la deducibilità dei costi, atteso che non era mai stata posta in dubbio la loro effettività, inerenza e competenza degli acquisti effettuati in esercizio di impresa.

I motivi della decisione
La Suprema corte valuta infondato il ricorso e non condivide, quanto al primo rilievo, la tesi della ricorrente, argomentando che, se è vero che il documento che incorpora la fattura trasmessa a mezzo fax è sostanzialmente una copia dell’originale, è altrettanto vero che l’originale del fax offre maggiori garanzie perchè non si presta a essere manipolato (con un fotomontaggio), almeno da parte di chi lo riceve. Peraltro, la Corte ricorda che se si fosse trattato di fax trasmesso per mezzo di personal computer, il legislatore ha imposto l’obbligo di conservare il supporto elettronico fino al momento della stampa, proprio per evitare il supposto rischio di alterazioni, insito in ogni riproduzione meccanografica non confrontabile con l’originale.

Osserva ancora il giudice che l’articolo 22 del Dpr 600/1973, che impone appunto l’obbligo di conservare la documentazione originale, è norma "speciale" rispetto al regime ordinario della prova documentale previsto dall’articolo 2712 c.c., che equipara la copia all’originale se colui contro il quale è prodotta non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime. Tale maggior cautela fiscale rispetto a quella civile trova la sua ratio nella tendenziale indisponibilità del rapporto tributario e del suo regime probatorio.

D’altra parte, la Corte stigmatizza il comportamento del contribuente per non avere agito con coerenza anche riguardo all’onere probatorio, non avendo giustificato la mancata conservazione degli originali dei documenti di cui trattasi (come, ad esempio, allegando valide ragioni in ordine alla distruzione accidentale o per causa di forza maggiore dei documenti originali, eventualmente rafforzate dalla denuncia all’Autorità giudiziaria, secondo l’id quod plerumque accidit). E anche se si volesse attribuire carattere meramente formale alla violazione de qua, tale particolare è sintomatico, secondo il collegio, di un comportamento almeno "sospetto" da parte del contribuente stesso (argomentando anche ex articolo 116, secondo comma, c.p.c.).
Conclude pertanto la Corte sul punto, affermando il principio che le fotocopie di documenti originali, che non risultino smarrite o distrutte per cause non imputabili al contribuente, non hanno affatto lo stesso valore probatorio degli originali.

Quanto al secondo rilievo, va da sé, specularmente, che il ragionamento della ricorrente appare errato per ridondanza in quanto non tiene conto del fatto che proprio l’irregolarità della documentazione – a monte – elide la sussistenza del requisito della certezza del costo – a valle -, nonché la conseguente verifica dell’inerenza e della competenza, presupposti della deducibilità ex articolo 75 del Tuir. Al riguardo, va richiamato il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di imposte sul reddito, con riferimento alla determinazione del reddito d’impresa, l’onere della prova circa l’esistenza e l’inerenza dei costi, ai sensi dell’articolo 2697 c.c., ricade sul contribuente (Cassazione 11078/2008, 1709/2007, 18710/2005, 11240/2002, 10802/2002, 16198/2001), per cui è quest’ultimo che, ove intenda sostenere l’esistenza di costi maggiori di quelli considerati, deve documentare che essi sono stati effettivamente affrontati e sono inerenti all’esercizio cui l’accertamento si riferisce.

Osservazioni
Per completezza si osserva che le conclusioni della Corte appaiono interessanti, anche e soprattutto se lette alla luce delle indicazioni fornite sull’argomento dall’Amministrazione finanziaria.
Si richiama al riguardo la risoluzione 107/2001, nella quale l’agenzia delle Entrare si è pronunciata sulla validità di una procedura che prevedeva l’invio della fattura al ricevente, da parte della società emittente, tramite fax. Il documento, ricevuto dalla scheda fax del sistema, veniva instradato all’interno del sistema operativo, trasformato in formato elettronico, e infine memorizzato su disco e storicizzato all’interno dell’archivio insieme alla sua immagine.
Tale sistema, però, a differenza della fattispecie esaminata dalla sentenza 4502/2009 in commento, garantiva l’integrità del documento e la sua inalterabilità, non potendo più essere né modificato né manipolato. Nel contesto interpretativo della risoluzione 107/2001, l’agenzia delle Entrate ha, pertanto, sostenuto che la trasmissione delle fatture tramite posta elettronica o con procedure informatizzate doveva ritenersi legittima, sempre che i dati relativi alle operazioni rilevanti ai fini Iva vengano materializzati in documenti cartacei.
Tra tali procedure non è però contemplata quella del semplice invio a mezzo fax del documento che, quindi, non è mai stata ritenuta idonea a integrare i presupposti di integrità del documento imposti nel sistema dell’Iva dal Dpr 633/1972. Infatti, nel caso di utilizzo di fax tradizionali, cioè non connessi a strumenti informatici, la fattura, sia elettronica che cartacea, deve essere riprodotta su carta per l’invio e il soggetto destinatario la riceve mediante stampa su supporto cartaceo (circolare 45/2005).

Fonte: Salvatore Servidio da www.nuovofiscooggi.it
 
 

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