Trust, strumento di pianificazione e tutela del patrimonio

Il trust è un contratto con cui un soggetto disponente (trustor o settlor) trasferisce la proprietà di uno o più beni a un soggetto fiduciario (trustee), il quale dispone e amministra i diritti reali acquisiti (secondo le indicazioni stabilite nel rapporto giuridico), per uno scopo predeterminato o nell’interesse di un beneficiary titolare di un diritto personale, cui potranno trasferirsi in piena proprietà i beni alla fine del trust.

L’istituto realizza la piena separazione dalla sfera giuridica del disponente del "patrimonio conferito", che passa in piena proprietà al trustee, attuando una forte tutela e garanzia del patrimonio. Tali beni, infatti, non possono essere oggetto di pretese da parte di:
creditori del disponente, poiché non sono più di sua proprietà
creditori personali del trustee, poiché lo stesso, seppur proprietario, li detiene solo per il trust e non a titolo personale
creditori dei beneficiari o loro eredi, che potranno operare una vendita solo con la cancellazione del trust e il trasferimento della proprietà.

Le finalità del trust possono essere molteplici:
amministrazione e protezione del patrimonio familiare da vicende imprenditoriali o familiari
tutela dei minori e dei soggetti incapaci, in deroga alle restrizioni previste dalle disposizioni testamentarie che prevedono godimenti limitati dei beni
tutela del patrimonio per finalità successorie, con destinazione a eredi specifici o a persone estranee alla famiglia
investimento in piani pensionistici o fondi comuni (trust fund anglosassoni).

L’istituto giuridico è stato introdotto nell’ordinamento tributario dalla legge finanziaria 296/2006, che ha modificato l’articolo 73 del titolo II, capo I del Tuir ampliando il novero dei soggetti passivi. Il sistema normativo previgente, pur riconoscendo efficacia giuridica a trust regolati da legislazioni di Stati esteri (in linea con la Convenzione dell’Aja adottata nel 1985), non era mai intervenuto sull’imposizione dei proventi e dei frutti derivanti da "beni in trust", né tantomeno in ordine al trattamento fiscale delle erogazioni promanate dagli stessi a favore dei beneficiari.

La prassi amministrativa e gli orientamenti dottrinali di specie, in particolare, hanno distinto e analizzato le caratteristiche di ogni singolo trust al fine di determinare la tassazione dei flussi reddituali ricondotti, a seconda dei casi, agli enti commerciali (articolo 73, comma 1, lettera b), del tuir) agli enti non commerciali (lettera c) oppure agli enti non residenti nel territorio dello Stato (lettera d).

Si distinguono:
trust trasparenti, con beneficiari di reddito "individuati", i cui redditi vengono imputati per trasparenza agli stessi beneficiari
trust opachi, senza beneficiari di reddito "individuati", i cui redditi vengono direttamente attribuiti al trust medesimo.

Il trust, infatti, è tassato per trasparenza, come stabilito dalla circolare 48/2007, soltanto nei casi in cui siano individuati i beneficiari del reddito ed è possibile che un trust sia al contempo opaco e trasparente, quando parte del reddito è accantonata a capitale e parte è attribuita ai beneficiari. I flussi di reddito del trust soggetti a tassazione sostitutiva o a ritenuta alla fonte a titolo di imposta avendo assolto tutti gli obblighi tributari, non scontano ulteriore imposizione né in capo al trust stesso né in capo ai beneficiari. Esempi possono essere interessi, premi, obbligazioni e titoli similari assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo di imposta del 12,5% o 27%, a seconda dei casi, o redditi diversi di natura finanziaria assoggettati a imposizione sostitutiva delle imposte sui redditi del 12,50 per cento.

I beneficiari dei redditi sono tassati per trasparenza se, oltre a essere individuati, sono titolari del diritto di pretendere dal trustee l’assegnazione di quella parte di reddito che gli viene imputata per trasparenza. Tali redditi sono inclusi tra i redditi di capitale ai sensi dell’articolo 44, comma 1, lettera g-sexies, del Dpr 917/1986; tuttavia, come precisato dalla circolare 48/2007, gli stessi sono tassati per competenza e non per cassa.
I trust opachi, invece, tassati in base ai redditi attribuiti, non possono essere successivamente tassati in capo ai beneficiari (cfr. risoluzione 81/2008 sul trust misto).

Residenza
L’articolo 73, comma 3, del Dpr 917/1986, stabilisce che un soggetto Ires si considera residente se per la maggior parte del periodo di imposta ha (alternativamente) nel territorio dello Stato:
la sede legale
la sede dell’amministrazione
l’oggetto principale dell’attività.
L’Amministrazione finanziaria ha chiarito, in particolare, che i criteri di collegamento con il territorio dello Stato, dalla cui presenza discende la residenza fiscale, sono la sede dell’amministrazione e l’oggetto principale (non potendosi, quindi, a differenza delle società e degli enti, avere riguardo alla loro sede legale poiché poco adeguata alla peculiarità giuridica).

La sede dell’amministrazione risulta di facile individuazione per i trust che si avvalgono, nel perseguire il loro scopo, di un’apposita struttura organizzativa (dipendenti, locali eccetera). Mancando questa struttura, la sede dell’amministrazione tenderà a coincidere con il domicilio fiscale del trustee.
L’oggetto principale dell’attività del trust è, invece, collocato nello Stato in cui si trovano i beni del trust (in realtà poiché il trustee amministra i beni assegnati dal disponente, la residenza dello stesso non dovrebbe necessariamente coincidere con l’ubicazione dei beni).
Un patrimonio immobiliare ubicato interamente in Italia, ha residenza fiscale riconducibile nel territorio dello Stato; ma, se i beni o i diritti interessano diversi Stati, occorre fare riferimento al criterio della prevalenza. Nel caso di patrimoni mobiliari, invece, l’oggetto principale dovrà essere, invece, identificato con l’effettiva e concreta attività esercitata.

Disposizione antielusiva di residenza:
Trust offshore: l’articolo 73, comma 3, Dpr 917/1986, nell’ambito della definizione di residenza ai fini delle imposte sui redditi, prevede una specifica disposizione finalizzata a contrastare possibili fenomeni elusivi di localizzazione all’estero. I trust esteri istituiti in Paesi che non consentono un adeguato scambio di informazioni, e comunque non inclusi nella "white list" individuata con decreto ministeriale 4 settembre 1996 sono, considerati residenti in Italia qualora alternativamente:
il disponente o il beneficiario siano fiscalmente residenti in Italia
siano posti in essere da parte di un soggetto fiscalmente residente in Italia a favore del trust, successivamente alla sua costituzione, atti di trasferimento di diritti di proprietà su beni immobili, di costituzione o di trasferimento di diritti reali immobiliari (anche per quote), ovvero di vincoli di destinazione sugli stessi.

Tale disciplina antielusiva trova applicazione solo nel caso siano residenti in Italia i beneficiari effettivi del reddito, a nulla rilevando la residenza dei beneficiari del fondo in trust ed è applicabile ai trust con beneficiari "individuati", i cui redditi, quindi, sono imputati per trasparenza.
La presunzione semplice opera anche se la residenza fiscale in Italia del disponente e del beneficiario non è verificata nel medesimo periodo d’imposta. Infatti, mentre la residenza del disponente, in virtù della natura istantanea dell’atto di disposizione, rileva nel periodo d’imposta in cui questi ha effettuato l’atto di disposizione a favore del trust (sono irrilevanti eventuali successivi cambi di residenza fisc
ale), quella del beneficiario attrae in Italia la residenza del trust, anche se si verifica in un periodo d’imposta successivo. Ulteriore presunzione opera, inoltre, se gli immobili e i relativi diritti interessati da atti dispositivi a favore del trust sono ubicati in Italia (circolare interpretativa), non essendo sufficiente, in tale caso, la residenza fiscale nel territorio dello Stato italiano del soggetto che pone in essere gli atti.

Trust esterovestiti: la circolare precisa che, ove compatibili, sono applicabili ai trust anche le disposizioni in materia di esterovestizione delle società previste dall’articolo 73, commi 5-bis e 5-ter, Dpr 917/1986; sono ricompresi, quindi, i Paesi compresi nella "white list" per i quali non opera la presunzione di residenza su citata (cfr. risoluzione 400/2008 su trust e normativa Cfc ).
La disciplina sull’esterovestizione delle società, introdotta con il Dl 223/2006 dispone, nell’articolo 73, una presunzione relativa "salvo prova contraria…", in base alla quale è considerata esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’articolo 2359 c.c., in Spa, Sapa, Srl, società cooperative, società di mutua assicurazione, enti pubblici e privati, se, alternativamente:
sono controllate, anche indirettamente, ex articolo 2359, comma 1, c.c., da soggetti residenti nel territorio dello Stato
sono amministrate da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato.
Tale estensione appare applicabile in maniera limitata nel caso specifico, poiché il trust non può per sua natura essere controllato da una società. La norma potrebbe trovare applicazione per un trust estero con trustee residente in Italia e con partecipazioni di controllo in società di capitali italiane.

Obblighi fiscali
Il trust deve:
presentare annualmente la dichiarazione dei redditi (cfr. circolare 48/2007), anche se trasparente
acquisire un proprio codice fiscale
ottenere partita Iva laddove si eserciti attività commerciale.
I dettami tributari del trust prevedono obbligatoriamente la tenuta delle scritture contabili, a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 296/2006 nell’articolo 13 del Dpr 600/73. I trust che hanno per oggetto esclusivo l’esercizio di attività commerciali devono tenere le scritture contabili previste dall’articolo 14, mentre quelli che esercitano attività commerciale in forma non esclusiva sono obbligati alla tenuta delle scritture contabili ex articolo 20 dello stesso Dpr 600. In base all’attività svolta, il trust può essere soggetto all’Irap.

Trasferimento di beni nei trust
Imposte dirette – La disposizione in un trust di beni senza corrispettivo, non relativi a impresa, non genera di norma materia imponibile né in capo al disponente, né in capo al trustee. Laddove, invece, tali beni rientrino tra quelli relativi all’impresa, la disposizione di beni in trust è considerata una destinazione a finalità estranee all’impresa e, come tale, generatrice di un ricavo (articolo 85, comma 2, Tuir) o di una plusvalenza (articoli 58, 86 e 87 del Tuir) a seconda della tipologia di bene assegnato, determinati in base al valore normale di cui all’articolo 9, comma 3 (operazione soggetta a Iva ai sensi dell’articolo 2, comma 2, n. 5, del Dpr 633/1972).

In riferimento invece alle cessioni di beni durante il trust (cfr. risoluzione 425/2008 sul trattamento fiscale delle plusvalenze nel trust), se le disposizioni sono poste in essere nell’esercizio d’impresa, si applica la disciplina fiscale afferente alla categoria di appartenenza del bene ceduto, mentre, se le cessioni non sono effettuate nell’esercizio d’impresa, ricorrono i presupposti reddituali di cui all’articolo 67 del Tuir. In tali casi, per la determinazione delle plusvalenze, si dovrà avere riguardo ai valori fiscalmente riconosciuti in capo al disponente, fermo restando che il trasferimento dei beni dal disponente al trustee non interrompe il decorso del quinquennio di cui all’articolo 67, mentre nel caso di cessione di beni acquistati dal trust si farà riferimento al prezzo da questi pagato.
Il trasferimento di aziende per causa di morte o atto gratuito, nello specifico, non dà luogo al realizzo di plusvalenze, se l’azienda è assunta ai medesimi valori fiscalmente riconosciuti per il dante causa ex articolo 58, comma 1, del Tuir.

Imposta di successione e donazione – La tassazione trova applicazione solamente nel primo passaggio dal disponente al trustee e non anche nel trasferimento finale dal trustee ai beneficiari, poiché la realizzazione dell’attribuzione liberale si pone sin dall’origine a favore del beneficiario. La determinazione delle aliquote e delle franchigie deve, quindi, essere determinata in riferimento al rapporto intercorrente tra il disponente e il beneficiario (identificato almeno in relazione al grado di parentela con il disponente) e non a quello tra disponente e trustee. Nel caso del trust di scopo, mancando un beneficiario finale, l’imposta sarà dovuta con l’aliquota dell’8% prevista per i vincoli di destinazione a favore di altri soggetti ex articolo 2, comma 48, lettera c), Dl 262/2006.
La costituzione del vincolo di destinazione in un trust disposto a favore dei discendenti del disponente non è soggetta all’imposta di donazione (cfr. articolo 3, comma 4-ter, Dlgs 346/1990) qualora abbia a oggetto aziende o rami di esse, quote sociali e azioni.

Imposte ipotecarie e catastali – Sono dovute, rispettivamente, per la formalità della trascrizione di atti aventi a oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari e per la voltura catastale degli stessi. La circolare 48/2007 ha precisato che le stesse imposte sono dovute in misura proporzionale sia in sede di attribuzione di beni immobili o diritti reali immobiliari dal disponente al trustee, sia nel successivo trasferimento dei beni medesimi dal trustee ai beneficiari. Le imposte ipotecarie e catastali sono inoltre dovute per i trasferimenti eventualmente effettuati durante la vita del trust.

Redditi dei beneficiari
Trust opachi – I redditi derivanti dai beni devono essere assoggettati a tassazione in capo al trust quale soggetto passivo Ires laddove non sia individuato alcun beneficiario. La successiva distribuzione agli stessi beneficiari dei proventi (capitalizzati) conseguiti dal trust, ovviamente, non è assoggettabile ad alcuna imposizione sul reddito (distribuzione di capitale).
Trust trasparenti – Il reddito conseguito dal trust è, invece, imputato direttamente a ciascun beneficiario individuato, in proporzione alla quota stabilita nell’atto istitutivo ovvero in parti uguali tra loro, qualora non sia prevista una ripartizione determinata.
Il beneficiario deve essere individuato e deve risultare titolare del diritto di pretendere dal trustee l’assegnazione di quella parte di reddito che gli viene imputata per trasparenza. Nel caso di "trust trasparenti", i redditi si qualificano sempre, in capo ai beneficiari, quali redditi di capitale, in base all’articolo 44, comma 1, del Tuir, a prescindere dal tipo di attività commerciale o non commerciale, e dovranno pertanto essere computati nel reddito complessivo senza alcuna deduzione, beneficiando, tuttavia, del credito d’imposta per eventuali imposte assolte all’estero in via definitiva (sempre in misura proporzionale alla quota individuata). Se i redditi conseguiti dai trust fiscalmente residenti in Italia sono invece destinati a beneficiari non residenti fiscalmente in Italia e si qualifichino come redditi di capitale ex articolo 44 del Tuir, occorrerà valutarne, nel rispetto di eventuali convenzioni contro le doppie imposizioni, l’imponibilit&agr
ave; in Italia ai sensi dell’articolo 23, comma 1, lettera b), del Tuir.

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