Le indagini finanziarie dispensano l’Ente dal fornire prove sull’accertamento

Spetta al contribuente provare che gli elementi acquisiti dal Fisco non sono riferibili a operazioni imponibili
La presunzione di imponibilità delle movimentazioni finanziarie non giustificate, stabilita dalla normativa fiscale, può essere vinta soltanto attraverso una specifica prova contraria, mentre agli stessi fini non è sufficiente un’altra presunzione semplice né una mera affermazione di carattere generale.

La Corte di cassazione, sul solco di una copiosa giurisprudenza in materia, con l’ordinanza 23873 del 24 novembre, ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate contro la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, che aveva applicato un abbattimento a forfait al totale delle risultanze dell’accertamento bancario.

 
I fatti di causa
Un contribuente proponeva ricorso al giudice tributario, contro l’atto dell’Agenzia che aveva accertato a suo carico un maggior reddito determinato induttivamente a seguito di indagini finanziarie. La Ctp accoglieva il ricorso riducendo del 50% l’imponibile.
 
L’appello dell’ufficio veniva respinto dalla Commissione tributaria regionale di Roma, che confermava la decisione del collegio di primo grado anche nella parte in cui quest’ultimo aveva ridotto alla metà il reddito accertato induttivamente sulla base delle movimentazioni bancarie non adeguatamente giustificate dal contribuente.
In particolare, sullo specifico punto, la Ctr aveva espresso l’avviso che, dal totale dei conti bancari esaminati in fase istruttoria e ritenuti rilevanti per il recupero tributario, doveva detrarsi “necessariamente in misura forfetaria quanto corrisposto ai fornitori, le spese familiari, gli stipendi dei collaboratori e comunque i costi propri dell’attività”; ciò in ragione dell’esigenza di “non sconfinare anche in casi come quello in esame in una realtà diversa da quella effettiva”.
 
L’Agenzia delle Entrate ricorreva davanti alla Cassazione, deducendo la violazione degli articoli 32 (poteri degli uffici) e 39 (redditi determinati in base alle scritture contabili) del Dpr 600/1973.
La parte pubblica si doleva del fatto che la Commissione regionale non aveva considerato che, a fronte della presunzione legale stabilita dalla norma in tema di accertamenti bancari (citato articolo 32, primo comma, n. 2), incombe sull’interessato dimostrare che i singoli prelevamenti accertati si riferiscono a costi effettivamente deducibili.
 
La pronuncia di legittimità
La Cassazione ha accolto il descritto motivo di ricorso, affermando che, attraverso l’applicazione di una riduzione forfetaria all’imponibile accertato presuntivamente ai sensi dell’articolo 32 del Dpr 600/1973, il giudice, piuttosto che basarsi su una prova, abbia soltanto “finito per contrapporre all’indicata presunzione un’altra presunzione e non un fatto specifico provato dal contribuente”.
Tale operazione, precisa l’ordinanza, non è ammissibile in quanto contrasta con il consolidato orientamento della Suprema corte, secondo il quale, a fronte di un accertamento fondato sulle risultanze di indagini finanziarie, spetta al contribuente, in virtù del principio di inversione dell’onere della prova, offrire la dimostrazione che gli elementi acquisiti dall’ufficio non sono riferibili a operazioni imponibili.
 
Date queste premesse, spiega l’ordinanza n. 23873, non è consentito sostenere, come accaduto nei fatti, che si sarebbe dovuto tener conto in misura forfetaria di oneri deducibili rispetto ai quali, tra l’altro, non era stata indicata né documentata la specifica riferibilità ai movimenti bancari rilevati.
Questa regola, puntualizza ancora la Cassazione, è coerente con il principio di carattere generale in materia tributaria, secondo il quale (salvi i provvedimenti adottati nell’esercizio del potere di autotutela e quelli su richiesta di rimborso) “non sono previsti provvedimenti in relazione ai quali l’Amministrazione sia tenuta a ricercare di sua iniziativa circostanze idonee a comportare la riduzione del debito d’imposta del contribuente (Cass. n. 4224/06)”.
 
Considerazioni
La pronuncia conferma l’interpretazione della giurisprudenza di legittimità, peraltro fondata sul saldo sostegno normativo dell’articolo 32 del Dpr 600/1973 (nonché, in materia di Iva, sull’articolo 51 del Dpr 633/1972), secondo cui i riscontri, tanto versamenti che prelevamenti, delle movimentazioni finanziarie concretizzano una presunzione legale di maggiori ricavi (o di maggiore imponibile Iva non dichiarato).
 
Al riguardo, appare utile ricordare che le presunzioni (le conseguenze che la legge o il giudice traggono da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato – articolo 2727 cc) si distinguono in presunzioni legali e presunzioni semplici.
Le prime (quelle positivamente previste da una norma giuridica) dispensano da qualunque prova il soggetto a favore del quale sono stabilite (articolo 2728 cc); le presunzioni semplici, invece, sono lasciate al prudente apprezzamento del giudice, il quale le deve ammettere soltanto quando si tratti di presunzioni “gravi, precise e concordanti” (articolo 2729 cc).
 
In ambito tributario vigono le presunzioni legali relative (cosiddette juris tantum), in quanto suscettibili di prova contraria: dal fatto noto (la movimentazione accertata) si risale al fatto ignoto (l’imponibile non dichiarato), attraverso un meccanismo che, mentre dispensa l’ente impositore dal fornire qualunque prova in merito, sposta sull’interessato l’onere di fornire eventuali elementi idonei a suo favore.
 
La pronuncia in commento ribadisce dunque la regola (da ultimo riaffermata anche dalla pronuncia della Cassazione 20735/2010) secondo la quale, nella materia in questione, è illegittimo ritenere che a un ricavo occulto debba necessariamente corrispondere un costo anch’esso occulto: con la conseguenza che non è consentito abbattere i ricavi in virtù di costi non provati ma soltanto presuntivamente ritenuti.
 
Su un piano sistematico, l’ordinanza n. 23873 appare inoltre coerente con il principio più generale (si veda Cassazione 19079/2009) per cui, seppure il giudice tributario può ricalcolare la pretesa fiscale, deve tuttavia effettuare tale operazione nel rispetto della legge (e nel limite delle domande poste dalle parti) “dovendosi escludere la sussistenza di qualsivoglia potere equitativo” nella determinazione della misura dell’obbligazione tributaria.
 
Fonte: Massimo Cancedda da nuovofiscooggi.it
 
 

 

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