Paradisi perduti? Jersey scende a patti fiscali con il Regno Unito

Paradiso sì, ma soltanto per la geografia. La piccola isola di Jersey, piccolo regno indipendente della Manica legato alla Corona inglese, ha accettato un gentleman agreement con la Gran Bretagna in nome della collaborazione e della trasparenza in campo fiscale. L’intesa, messa nera su bianco nei giorni scorsi dal sottosegretario al tesoro britannico Stephen Timms e dal primo ministro del Jersey Terry Le Suer, allontana dallo staterello delle Channel Islands la storica etichetta di piazza per gli investimenti offshore.

Le finalità dell’accordo
Una mossa che si inscrive in una strategia più ampia, con i due governi impegnati anche a correggere il vecchio protocollo bilaterale per evitare la doppia imposizione, ormai datato 1952, inseguendo un obiettivo specifico: introdurre nuove clausole sulla tassazione dei redditi da pensione. Ma a caratterizzare il patto di mutua assistenza tra i due Stati è, in particolare, l’avvio di un flusso sistematico di informazioni di natura fiscale, in cui rientra un ampio ventaglio di dati: da quelli in possesso delle banche e degli altri istituti finanziari a quelli relativi alla struttura proprietaria di imprese, società, piani di investimento collettivo, trust e fondazioni.

Incentivare la cooperazione mondiale
"Lo scambio di informazioni e la trasparenza fra Paesi diversi – ha dichiarato il rappresentante del governo britannico – sono strumenti fondamentali per la lotta all’evasione e all’elusione fiscali. La decisione, presa dall’amministrazione del Jersey, di abbracciare questo principio è un passo cruciale nella giusta direzione". Un riconoscimento ufficiale che si accompagna all’invito esplicito rivolto agli altri paradisi a fiscalità privilegiata a seguire l’esempio dell’isola del Canale. "Nelle prossime settimane – ha aggiunto Mr Timms – lavoreremo coi nostri partner del G20 per incentivare la cooperazione mondiale contro l’evasione. Mi auguro che i territori che non si sono ancora adeguati agli standard internazionali, mettano in campo le riforme necessarie per farlo al più presto". Dello stesso tenore le dichiarazioni rilasciate dal segretario permanente per le tasse Dave Hartnett: "L’importanza di questo accordo – ha sottolineato il dirigente dell’Hm Revenue & Customs riferendosi al trattato col Jersey – ci consenirà di ottenere le informazioni di cui abbiamo bisogno per lasciarci davvero alle spalle i tempi in cui si trasferivano i patrimoni offshore per conseguire un ingiusto vantaggio fiscale".

Un’occhiata alle cifre
Un auspicio che trova il conforto dei numeri. Quella con l’isola della Manica è la quinta convenzione sullo scambio di informazioni fiscali stipulata dalla Gran Bretagna in base alle raccomandazioni dell’Ocse. La penultima in ordine di tempo è quella con le Bermuda, preceduta da analoghi accordi con l’Isola di Man, le British Virgin Islands e il Guernsey. Dal canto suo, prima di sedersi al tavolo delle trattative con la Corona, il piccolo Jersey era già sceso a patti in campo fiscale con gli Stati Uniti, l’Olanda, la Germania, la Danimarca, la Finlandia, la Groenlandia, l’Islanda, la Norvegia, la Svezia e l’arcipelago delle Faroe.
Tra i dettagli dell’intesa, il range delle imposte su cui verranno fornite informazioni comprende, sul versante inglese, le imposte sul reddito, sui proventi delle società, sui capital gain, di successione e sul valore aggiunto.

Gli impegni di Jersey
Lo staterello della Manica si è invece impegnato a prestare la sua collaborazione su due fronti: imposta sui redditi e imposta sui beni e servizi. Una prateria di interessi offshore destinata a diventare un pò meno selvaggia grazie all’accordo siglato col Fisco di Sua Maestà. Le informazioni scambiabili includono, infatti, qualsiasi fatto, affermazione o documento e possono essere fornite eventualmente anche sotto forma di deposizioni di testimoni o di copie autenticate di registrazioni originali. Come si legge nel testo del protocollo, ogni richiesta deve essere formulata nella maniera più particolareggiata possibile, specificando per iscritto una serie di elementi di dettaglio: dall’identità della persona sotto indagine, alla natura dell’informazione richiesta, dallo scopo fiscale in vista del quale si richiede l’informazione passando per le ragioni per cui essa è giudicata rilevante per l’amministrazione finanziaria. La domanda deve inoltre essere conforme alle leggi del Paese richiedente e risulta ammissibile soltanto se si dimostra, al di là di ogni ragionevole dubbio, che quest’ultimo ha utilizzato tutti gli strumenti in suo possesso per ottenere l’informazione. Non mancano, infine, alcune clausole che consentono di rigettare la richieste nel caso in cui, per esempio, queste riguardino informazioni riservate per legge o che rivelino segreti industriali, commerciali o professionali.
L’accordo, che diventerà effettivamente operativo quando si completeranno le procedure previste dalle leggi dei due Paesi, stringe sempre più il cerchio attorno ai tax haven, sbiadendo l’immagine paradisiaca del piccolo fazzoletto di terra al centro del Canale.
 

Fonte: Laura Mingioni da www.nuovofiscooggi.it
 
 

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