L’esame dei c/c di soggetti legati al contribuente verificato non sempre produce gli effetti voluti

Le indagini finanziarie rappresentano uno degli strumenti più incisivi fra quelli di prevenzione e contrasto all’evasione fiscale. Strumento la cui importanza, considerata l’attitudine nel fare emergere gli intenti fraudolenti perseguiti da vari soggetti sottoposti a controllo, è stata evidenziata anche nella circolare n. 6/E del 2008.
Il loro utilizzo trova riscontro normativo nell’articolo 32, comma 1, punto 2, del Dpr 600/1973, in cui è stabilito che “…dati, notizie e documenti…acquisiti a norma del numero 7), ovvero rilevati a norma dell’articolo 33, secondo e terzo comma…sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e semprechè non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni”.

Gli uffici tributari, nell’espletare la loro attività volta a ricostruire i redditi derivanti dall’esercizio di attività d’impresa, arte o professione, possono rivolgere la propria attenzione non solo ai conti correnti direttamente intestati ai soggetti sottoposti a controllo, ma anche nei confronti di quelli titolati a terzi.
Al proposito, nella circolare 32/2006 è specificato che laddove è in corso un controllo nei confronti di un determinato contribuente, è possibile estendere le indagini finanziarie ai “soggetti terzi”, “nell’ipotesi di rapporti cointestati e/o in disponibilità per delega e/o per interposizione fittizia” e che per “soggetto terzo” deve intendersi i familiari nonché tutti coloro che sono legati all’interessato da particolari rapporti, quali, ad esempio, quelli di cointeressenza o di rappresentanza organica.

L’attuale tendenza del legislatore, però, è quella di ampliare massimamente l’utilizzo delle indagini finanziarie estendendo la platea dei “soggetti terzi”.
Un esempio di tale indirizzo è rappresentato dalla legge 248/2006 che ha previsto, all’articolo 35, comma 23-bis, che “per i trasferimenti immobiliari soggetti ad Iva finanziati mediante mutui fondiari o finanziamenti bancari, ai fini delle disposizioni di cui all’articolo 54 del D.P.R. 633/72, terzo comma, ultimo periodo, il valore normale non può essere inferiore all’ammontare del mutuo o finanziamento erogato”.
In tale modo il legislatore ha reso esplicito il consenso a che le movimentazioni finanziarie di “terzi”, diversi da quelli definiti nella circolare 32/2006, possano essere utilizzate per la determinazione del reddito del soggetto controllato.

Nell’attuale operatività dell’ufficio, quindi, quando si parla di “terzi”, si fa riferimento anche a soggetti legati all’interessato da rapporti di natura commerciale, quali i clienti e i fornitori. Tale prassi trae origine dalla convinzione che dai conti correnti di tali “terzi” possano emergere determinati elementi che, pur avendo una natura finanziaria e contabile di segno opposto, in quanto rappresentativi di entrate/ricavi per gli uni e uscite/costi per gli altri o viceversa, possano essere validi al fine di quantificare l’eventuale maggior reddito non dichiarato dal soggetto accertato.

Caso n. 1: controlli incrociati sui clienti
La società immobiliare Alfa Srl è stata oggetto di un controllo generale, finalizzato a riscontrare i possibili ricavi non dichiarati.
Dall’analisi della documentazione contabile ed extracontabile è emersa la presenza di una serie di elementi, gravi, precisi e concordanti, che hanno indotto l’ufficio a ritenere che la società avesse occultato una parte dei propri ricavi.
Al fine di rafforzare le predette presunzioni, si è ritenuto opportuno ricercare ulteriori elementi di prova, ricorrendo allo strumento delle indagini finanziarie sui soggetti con cui la società ha intrattenuto rapporti commerciali, nella fattispecie con gli acquirenti degli immobili ceduti.

Si è, ovviamente, reputato di non poter eseguire l’indagine sull’intero portafoglio clienti della società verificata e, quindi, si è optato per un campione rappresentativo e appositamente costruito in base a un’unica determinata variabile, quale il possesso esclusivo di reddito da lavoro dipendente o di pensione, e ciò nella considerazione che, per tali soggetti, era più semplice e proficua la lettura dei loro conti correnti, in quanto rappresentativi unicamente della semplice gestione familiare.

L’ufficio ha, inoltre, stimato di non effettuare il controllo finanziario direttamente sulla società Alfa Srl, in quanto, per prassi consolidata e comprovata (ormai tristemente nota all’Amministrazione), i ricavi non dichiarati sono sempre incassati con denaro contante che le società non fanno ovviamente circolare sui propri conto correnti, ma dirottano all’estero o depositano su conti intestati a “prestanomi”, la cui individuazione è difficile, se non addirittura impossibile.

I riscontri emersi dal controllo sui conti degli acquirenti non hanno fornito, però, il supporto auspicato, in quanto non hanno generato quella serie di ulteriori elementi utili e tali da rafforzare le presunzioni già costruite.
Difatti, la maggior parte degli estratto conto del campione presentava la seguente situazione:

emissione di assegni e/o ordini di bonifico corrispondenti ai ricavi fatturati dall’immobiliare
scostamenti nell’ammontare delle uscite in contanti, effettuate in un dato arco temporale, che fanno presumere un prelevamento frazionato di denaro destinato a pagamenti in nero, a cui i contribuenti adducono motivazioni varie, quali acquisti di beni di lusso, prestiti a parenti, spese improvvise legate a eventi straordinari, ma per le quali non arrecano prove documentali certe in quanto non più in loro possesso. D’altronde, l’ufficio non è né in grado di opporre sostenibili conclusioni contrarie né può minimamente obiettare la mancata conservazione di un cartaceo, a sostegno delle dichiarazioni di parte, in quanto non obbligatoria per legge.
Alla luce degli elementi raccolti con le indagini finanziarie, l’ufficio ha ritenuto le stesse infruttifere, procedendo alla ricostruzione presuntiva del reddito della società immobiliare esclusivamente sulla base degli altri dati precedentemente rinvenuti.

Caso 2: controlli incrociati sui fornitori
Dall’analisi degli indici di bilancio relativi alla redditività della società Beta Srl, sono emerse alcune anomalie, tali da far supporre l’assenza di un corretto equilibrio tra i costi effettivamente sostenuti e i ricavi dichiarati; discordanza questa non confermata dal successivo controllo di merito, ai sensi dell’articolo 109, comma 2 e 5, del Tuir, delle fatture passive.

Non avendo il controllo relativo al rispetto del principio di inerenza e competenza confermato i risultati derivanti dall’utilizzo dei ratios di redditività e non essendo state superate le perplessità precedentemente descritte, si è reso opportuno attivare i controlli incrociati sui fornitori della società.
L’ufficio ha deciso di sottoporre a controllo due diverse tipologie di fornitori:

coloro che, in
seguito a un riscontro effettuato sul libro matricola della Beta Srl, sono successivamente stati assunti quali dipendenti della stessa
coloro che, come emerge dall’analisi dei mastrini, svolgono prestazioni o forniscono beni alla Beta Srl in misura eccessiva.
Nell’intero campione è stata riscontrata la seguente situazione: i fornitori effettuano una doppia fatturazione, in quanto emettono, a esclusivo utilizzo del cliente, una prima fattura di vendita, per un importo di 1.000, che Beta Srl contabilizza come costo e puntualmente paga con un assegno dello stesso valore, e successivamente redigono una seconda fattura, recante la stessa data e numerazione della prima, ma contabilizzata fra i propri ricavi per un ammontare pari a 700.
Una simile situazione genera un duplice scenario, in quanto, se è ovviamente chiaro che si è di fronte a un caso di falsa fatturazione, non è altrettanto scontato che tale meccanismo sia stato messo in piedi con la complicità della società soggetta a controllo; in conseguenza di ciò, è discutibile se il recupero debba essere effettuato direttamente su Beta Srl, con il disconoscimento del costo, oppure se il maggior ricavo debba essere imputato al fornitore.

La successiva e scontata indagine finanziaria sui fornitori, anziché fare chiarezza sulla veridicità degli importi movimentati, finisce con l’intricare ulteriormente la matassa.
Infatti, se da un lato appare evidente che a ogni assegno di Beta Srl incassato corrispondono prelevamenti in contanti non giustificati dalle scritture contabili del fornitore, ravvisando nelle operazioni una contestualità di momento, dall’altro non esiste la prova, in assenza anche della coincidenza degli importi (1.000-700), che la somma stornata ritorni nella cassa di Beta Srl, che ovviamente, in ipotesi di complicità, dirotta eventuali somme non lecite su altri c/c.

Le indagini bancarie, purtroppo, in questo caso non riescono a essere di supporto all’attività accertatrice, e, per tale motivo, l’eventuale ricostruzione del reddito non terrà conto delle risultanze prodotte ma dovrà muovere da altre considerazioni.

Conclusioni
Alla luce di quanto detto, appare opportuno evidenziare che lo strumento a disposizione, benché valido, non sempre produce gli effetti voluti, non perché di per sé inefficace, ma per il relativo utilizzo. Occorre rilevare che esso non deve essere applicato tout court, cioè non all’intera platea di coloro che sono legati al soggetto verificato, ma che deve essere indirizzato verso quelle situazioni dove già a monte è chiara la natura dei legami esistenti fra i vari soggetti coinvolti.

Appare, inoltre, assolutamente sterile il controllo che muove dall’analisi generica di tutte le movimentazioni finanziarie nel tentativo di rintracciare l’elemento che possa rappresentare la prova certa, utile alle finalità presunte, al contrario di una ricerca puntuale che si focalizza solo su determinate poste finanziarie, scelte per i loro requisiti intrinseci di tracciabilità e quantificazione certa, come, ad esempio, gli assegni e i bonifici, e tale da produrre quegli elementi in grado di avvalorare le presunzioni ed, eventualmente, essere utilizzata come punto di partenza di un’indagine più ampia.

Infine, si vuole sottolineare, quale ovvia conseguenza di quanto sopra evidenziato, che l’indagine finanziaria fondata esclusivamente sul mero inseguimento del denaro contante non potrà mai fornire la prova certa in grado di supportare le tesi dell’ufficio, a meno che non sia confermata dalla ammissione delle controparti.

Loredana Rendiniello e Antonio Bove – Fisco Oggi

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