Fondazioni bancarie e fisco, quando spettano le agevolazioni

Le fondazioni bancarie sono "persone giuridiche private senza fine di lucro, dotate di piena autonomia statutaria e gestionale" (articolo 2, Dlgs 153/1999), che detengono partecipazioni qualificate in imprese operanti nel settore creditizio e perseguono esclusivamente gli scopi di utilità sociale previsti nei relativi statuti.
Nello specifico, l’attività delle fondazioni può essere esplicata unicamente nei settori della ricerca scientifica, dell’istruzione, dell’arte, della conservazione e valorizzazione dei beni e delle attività culturali, della sanità e dell’assistenza alle categorie sociali deboli, rimanendo in ogni caso escluso lo svolgimento di funzioni creditizie, nonché qualsiasi forma di erogazione, diretta o indiretta, a favore di soggetti che perseguano scopo di lucro.  

La fondazione bancaria ha rappresentato lo "strumento" attraverso il quale il legislatore nazionale ha dato impulso alla privatizzazione del settore bancario, favorendo il sorgere di istituti di credito privati costituiti nella forma della società per azioni, da realizzarsi anche attraverso la rescissione del legame partecipativo tra fondazione e banca conferitaria.
Per questo, l’articolo 12, comma 3, del Dlgs 153/1999 prevede in caso di mancata dismissione, alla data del 31 dicembre 2005, delle partecipazioni di controllo nelle banche conferitarie, la perdita, da parte della fondazione, della qualifica di ente non commerciale e, quindi, delle connesse agevolazioni fiscali.
Successive disposizioni hanno tuttavia mitigato, almeno in parte, gli intendimenti evidenziati in detta normativa. Tra queste, la legge 448/2001 ha introdotto la possibilità di affidare la partecipazione a una società di gestione del risparmio (Sgr), prorogando così al 31 dicembre 2008 il termine per la sua dismissione, mentre la legge 289/2002 ha inserito nel corpus dell’articolo 25 del Dlgs 153/99 il comma 3-bis, in base al quale "Alle fondazioni con patrimonio netto contabile risultante dall’ultimo bilancio approvato non superiore a 200 milioni di euro, nonché a quelle con sedi operative prevalentemente in regioni a statuto speciale, non si applicano le disposizioni di cui al comma 3 dell’articolo 12, ai commi 1 e 2, al comma 1 dell’articolo 6, limitatamente alle partecipazioni di controllo nelle società bancarie conferitarie, ed il termine previsto nell’articolo 13. Per le stesse fondazioni il termine di cui all’articolo 12, comma 4, è fissato alla fine del settimo anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto".

Le fondazioni bancarie quali enti non commerciali
Le fondazioni possono, attraverso la detenzione di partecipazioni di controllo "in enti e società che abbiano per oggetto esclusivo l’esercizio di Imprese Strumentali", svolgere un’attività commerciale, purché "strumentale" al perseguimento degli scopi istituzionali previsti nei rispettivi statuti (articolo 6, Dlgs 153/99).
In ordine alla possibilità di riconoscere alle fondazioni bancarie le agevolazioni tributarie previste dal Dpr 601/73 per i soggetti che non hanno scopo di lucro (riduzione al 50% dell’Ires), la disposizione contenuta nell’articolo 6 ha suscitato, in dottrina e in giurisprudenza, più di un dibattito. Nello specifico, le perplessità più ricorrenti hanno riguardato la delimitazione del "perimetro" entro il quale un’attività commerciale possa essere definita come "strumentale", e ciò anche con riferimento al disposto che comunque qualifica le fondazioni bancarie come enti non commerciali di cui all’articolo 12 dello stesso decreto legislativo.
Secondo prevalente e qualificata dottrina, la "strumentalità" dovrebbe essere intesa quale indicatore di "non principalità" dell’attività commerciale.
Ai fini dell’applicabilità dell’agevolazione fiscale, quindi, la verifica della sussistenza della natura non commerciale dell’attività complessivamente esercitata dalle fondazioni bancarie assume carattere di essenzialità.

L’orientamento della Cassazione
Un ulteriore contributo al dibattito è stato di recente assicurato da qualificata giurisprudenza proveniente dalla Corte di cassazione, che ha riconosciuto come specifico e imprescindibile il nesso funzionale tra la titolarità delle azioni di controllo nell’impresa bancaria e la commercialità dell’attività delle fondazioni (a nulla rilevando la circostanza che i compiti istituzionali delle stesse siano definiti come no profit). Nello specifico, "il possesso di partecipazioni di controllo di impresa bancaria può essere considerato come esercizio di impresa, quando tale possesso costituisce un elemento strutturale normativo coessenziale alla struttura e all’attività dell’ente, anche se i compiti istituzionali del soggetto siano definiti come non profit. Sotto tale profilo, anche l’attuazione della riforma di cui al D.Lgs. n. 153/1999, nel senso di una dismissione del capitale di controllo dell’impresa bancaria di origine, non impedisce, la qualificazione della fondazione come impresa, ove si verifichi una semplice sostituzione di un settore di mercato a quello originario, nel quale la fondazione entra con risorse finanziarie che possono essere preponderanti. In definitiva l’originario collegamento genetico e funzionale con l’impresa bancaria costituisce, fino a prova contraria di eventuale completa dismissione della partecipazione e non reimpiego dei proventi in altra attività imprenditoriale, il fine primario della fondazione, per cui anche se fosse dimostrata l’utilizzazione di quei proventi per fini culturali, l’attività economica di collegamento con l’impresa bancaria non sottrarrebbe la fondazione alle regole in materia di concorrenza, non essendo lo scopo di lucro elemento essenziale del concetto di impresa". E ancora "anche a voler ammettere che la Fondazione si sia limitata all’esclusiva gestione della partecipazione nella banca conferitaria, la natura di impresa della Fondazione fin dall’origine, non può essere posta in dubbio", atteso che "soltanto una totale dismissione di tale partecipazione potrebbe escludere la natura imprenditoriale di quella partecipazione societaria qualificata, e sempre che sia dimostrato che i proventi della dismissione siano stati totalmente impiegati in attività non profit (Cassazione, sentenza 16927/2007).
La pronuncia appare particolarmente pregnante anche con riferimento a quelle fondazioni che, non superando i 200 milioni di patrimonio netto contabile, possono continuare a detenere la partecipazione.

La posizione dell’agenzia delle Entrate
Nel recepire pienamente le indicazioni della Suprema corte, l’Amministrazione finanziaria, con circolare 69/2007, ha ribadito, in relazione alla spettanza dell’agevolazione, la necessità che l’attività della fondazione non abbia natura imprenditoriale. In ordine alla nozione d’impresa cui far riferimento, la circolare rinvia al contenuto della sentenza della Corte di giustizia europea del 10 gennaio 2006, secondo la quale "Costituisce attività economica qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato" svolta da qualsivoglia soggetto "a prescindere dal suo status giuridico".

Angelo Spina – Nuovo Fisco Oggi

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