Falsa fatturazione: il condono non elimina la responsabilità penale

Con la sentenza 14855 del 18 aprile, la terza sezione penale della Corte di cassazione, consolidando l’orientamento sull’argomento, ha affermato che il condono tombale non fa cadere la responsabilità penale per le fatture false emesse in acconto e dichiarate l’anno successivo. Non solo. Nell’ambito del processo penale nessuna rilevanza può avere, fra l’altro, la decisione della Commissione tributaria provinciale che annulla l’accertamento.
 
Il fatto
Il rappresentante legale di una società di capitali veniva condannato dal giudice per le indagini preliminari del competente tribunale alla pena della reclusione per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all’articolo 2 del Dlgs 74/2000, per aver utilizzato nell’anno in contestazione (2003) fatture emesse nell’anno precedente da una ditta individuale nei suoi confronti, al fine di dedurre costi inesistenti e ottenere un consistente risparmio fiscale. Ne seguiva la conferma della condanna anche in appello
La Commissione tributaria regionale in precedenza aveva annullato l’avviso di accertamento notificato all’imprenditore ai fini fiscali per l’anno 2002, per avere quest’ultimo presentato il cosiddetto “condono tombale” previsto dall’articolo 9 della legge 289/2002, atteso che tale definizione copriva temporalmente gli illeciti contestati.
 
Nel conseguente ricorso per Cassazione l’imputato riteneva di andare indenne anche da responsabilità penale ritenendo che gli effetti del condono fiscale, come previsto espressamente dal comma 10, lettera c), dell’articolo 9 citato, si estendevano automaticamente alla punibilità del reato previsto dall’articolo 2 del Dlgs 74/2000, poiché “le fatture e le correlate transazioni economiche, in quanto registrate nell’anno di imposta 2002, non potevano più essere sindacate nel corso del successivo periodo di imposta”.
 
La decisione
Con una pronuncia tanto breve quanto interessante, la Corte di cassazione ha respinto il ricorso del contribuente, chiarendo preliminarmente che la questione va inquadrata nel modello scelto dal legislatore del 2000 con il Dlgs 74 per il nuovo sistema penale tributario, fondato appunto sul “modello dichiarativo” – da cui far discendere la consumazione del reato – a differenza del modello del “reato prodromico” recepito dalla precedente normativa di cui alla legge 516/1982, che puniva anche il semplice inserimento di fatture fittizie dell’annotazione in contabilità (“Agli effetti della configurazione del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti falsi non ha rilevanza la falsità materiale o ideologica del documento utilizzato”: Cassazione 10987/2012).

Quanto poi al recepimento, da parte del giudice penale, dell’accertamento contenuto in una sentenza tributaria irrevocabile, è un atto consentito “ma deve accompagnarsi a una verifica della compatibilità degli elementi su cui si fonda con le risultanze del processo penale”. Quindi al giudice penale deve riconoscersi piena autonomia nella valutazione del giudicato "extraprocessuale".
Il giudicato tributario non può incidere nel processo penale radicato sugli stessi fatti, sia perché sono diversi gli strumenti probatori e di difesa, sia perché il principio del "libero convincimento" del giudice penale non si concilia con la presenza di altri giudicati vincolanti.
In sostanza, con la sentenza n. 14855/2012, la Suprema corte ribadisce l’indipendenza del procedimento penale rispetto a quello tributario, anche sotto l’aspetto dell’autonoma valutazione del materiale probatorio – e dei suoi effetti giuridici – raccolto nel giudizio davanti alle Commissioni tributarie.

Nel caso di specie, poi, l’errore di prospettiva della difesa dell’imputato è consistita nella pretesa di voler estendere la definizione fiscale per l’anno 2002 agli effetti penali verificatisi invece nell’anno successivo. Infatti, le fatture incriminate sono state sì emesse nel 2002, ma le stesse sono state poi “consumate” (dedotte) – per il principio di competenza che involge le società – nell’anno 2003. Pertanto il reato tributario è da contestualizzare, nella fattispecie, con la dichiarazione del 2003, in relazione a cui era stato poi notificato l’accertamento.
A parte questo rilevante presupposto di fatto, il giudice di legittimità ha già affermato al riguardo che il reato di fatture false non cade anche in presenza di condono tombale (Cassazione, sentenza 3052/2008).
Inoltre, in relazione a periodi di imposta coperti da condono tombale, l’Amministrazione finanziaria può sempre indagare e dimostrare che le fatture emesse dal contribuente erano false (Cassazione, ordinanza 18942/2010).  
Infine, la definizione automatica della legge n. 289/2002 preclude al contribuente ogni possibilità di rimborso per le annualità d’imposta definite in via agevolata, ivi compreso il rimborso di imposte inapplicabili per mancanza del relativo presupposto (Cassazione, ordinanza 12665/2011).

Fonte: Salvatore Servidio da nuovofiscooggi.it
 
 

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