Contratto simulato, recupero reale. In Campania vittoria da 20 milioni

Il giudice napoletano dà ragione all’ufficio di Nola su una frode Iva attuata da società dello stesso gruppo
E’ simulato il contratto, non registrato e privo di data certa, riguardante un generico e imprecisato incarico di ricerca di immobili in un periodo limitatissimo di tempo (meno di due mesi), che non ha avuto concreta attuazione. La Ctr di Napoli ha così accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate di Nola, a bloccare una frode Iva messa in atto da società dello stesso gruppo.

Il fatto

Il 30 ottobre 2002 veniva stipulato un contratto preliminare di compravendita di cosa futura, con il quale due società dello stesso gruppo e con la quasi identica compagine sociale, si impegnavano a vendere e ad acquistare immobili di notevole valore. Il preliminare conteneva una serie di clausole impossibili da realizzarsi, relative sia a caratteristiche estrinseche e intrinseche degli immobili, sia al termine risolutivo del contratto definitivo, fissato al 31 dicembre 2002.
L’ufficio locale di Nola, come da consolidata giurisprudenza della Cassazione (non ultima, la sentenza 12353/2005), già in sede istruttoria, senza un preventivo giudizio di simulazione, aveva quindi ravvisato la sussistenza di una simulazione di contratto, finalizzata a pregiudicare il diritto dell’Amministrazione finanziaria al tributo dovuto.
Nel corso degli accessi disposti dall’Agenzia delle Entrate, i funzionari verbalizzanti acquisivano una fotocopia di fattura di acconto di 120 milioni di euro (100 di imponibile e 20 di Iva), datata 30 ottobre 2002 ed emessa dalla “promettente venditrice” nei confronti della “promettente acquirente”. La prima società non aveva mai annotato né contabilizzato tale fattura nella contabilità ufficiale, né aveva mai esibito l’originale della stessa. Al contrario, il documento risultava contabilizzato dalla promettente acquirente nell’aprile 2003 e annotato nel registro Iva acquisti, riportando quale data di emissione il 31 marzo 2003.
Inoltre, sempre in sede di accesso, veniva acquisito agli atti un foglio di carta, non diversamente qualificabile, datato 20 novembre 2002, con il quale il credito vantato dalla promettente venditrice veniva artatamente rilevato dal dominus del gruppo.
La irritualità di tale elemento di prova e la illegittimità assoluta di tale atto era di notevole evidenza. La rilevazione di credito da parte del dominus (nel frattempo socio maggioritario di entrambe le società) era soltanto apparente, poiché priva di giustificazione economica: essendo la promettente venditrice non operativa negli anni 2002 e 2003, la stessa non poteva vantare alcun debito, documentato o documentabile, nei confronti del socio maggioritario. Inoltre, tra debitore ceduto (promettente acquirente) e cessionario vi era commistione, per cui era ravvisabile una remissione di debito.
La promettente venditrice non versava l’Iva a debito, mentre la promettente acquirente portava in detrazione, nell’anno 2003, 20 milioni di euro di imposta sul valore aggiunto, conseguentemente alla operazione cartolare posta in essere.

Decisione

La frode Iva esposta è stata realizzata nel 2003, nel periodo in cui erano riaperti i termini di condono per l’anno 2002. La difesa di parte, infatti, è stata tutta incentrata su tale circostanza e sul fatto che l’ufficio aveva emesso l’avviso di rettifica per l’anno 2003, anziché per il 2002; anno in cui, per la parte, era stata emessa la fattura.
La Commissione ha rilevato come l’ufficio abbia legittimamente recuperato l’imposta in contestazione nell’anno 2003, stante la disposizione, contenuta nell’articolo 21, comma 1, parte seconda, del Dpr 633/1972, in base alla quale “La fattura si ha per emessa all’atto della sua consegna o spedizione all’altra parte”. Pertanto, in mancanza di prova contraria, non prodotta dall’emittente, per accertare la vera data di emissione della fattura, occorre riferirsi alla documentazione reperita presso il soggetto destinatario della stessa.
I giudici di appello hanno inoltre messo in evidenza la mancanza di qualsiasi movimentazione finanziaria tra le due società, nonché il mancato versamento dell’Iva indicata in fattura; Iva, come detto, portata a credito dalla società promettente acquirente, con evidente e gravissimo danno per l’Erario.
 
Fonte : IlFiscoOggi

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