A vuoto l’intervento del difensore, senza l’autentica dell’incarico

La certificazione di autenticità, da parte del difensore, della firma relativa al conferimento di incarico per la rappresentanza in giudizio è un elemento assolutamente indefettibile nel processo tributario, al punto che l’eventuale carenza della stessa nell’atto di appello, sia nella copia notificata all’ufficio sia in quella depositata in Commissione all’atto della costituzione, determina l’inammissibilità dell’impugnazione. Questa, sostanzialmente, la decisione della Commissione tributaria regionale del Piemonte, contenuta nella sentenza n. 34/26/08 del 27 ottobre 2008.

I giudici torinesi hanno così accolto l’eccezione sollevata dall’ufficio di Vercelli, che rilevava, nell’atto di appello notificatogli, la firma della parte apposta priva della necessaria autenticazione del (nuovo) difensore abilitato nel giudizio d’appello alla procura ad litem.

La Ctr non ha ritenuto sanabile il vizio mediante il conferimento orale del mandato, in pubblica udienza e in favore del difensore stesso, ex articolo 12, comma 5, del Dlgs 546/1992, aggiungendo che "il difetto di autentica dell’incarico conferito per l’appello, rende inammissibile il ricorso in appello ai sensi del combinato disposto degli artt. 53, co. 1, e 18, co. 3, del citato D.Lgs", disposizioni individuate come l’unico riferimento normativo utile a determinare la ritualità della fattispecie.

Gli articoli 18 e 53 del decreto sul contenzioso tributario, regolanti rispettivamente la forma del ricorso introduttivo e dell’appello, contengono una espressa sanzione d’inammissibilità che assorbe, per rinvio espresso del primo e indiretto del secondo, le eventuali violazioni della norma (l’articolo 12, comma 3, del Dlgs 546/1992) che si occupa delle modalità di incarico e di delega al difensore.

In tema di rapporto giuridico tra procura, autenticazione e atto difensivo, il descritto assetto normativo del contenzioso tributario si discosta da quello presente nel codice di rito civile, che non prevede una espressa sanzione di nullità. Circostanza questa che, in vari giudizi civili, ha costretto la Suprema corte a emettere sulla medesima questione indirizzi diversi (ex plurimis, per la nullità della procura e conseguente inammissibilità del ricorso: Cassazione, sentenze 5664/1989, 15369/2000 e 10030/2002. Su posizione opposta: Cassazione, sentenze 4191/1996, 12411/2001 e 10732/2003).

In effetti, non vi è dubbio che la "certificazione di autenticità" in oggetto abbia un notevole peso giuridico nell’ambito dell’ordinamento processuale, tanto che sia la giurisprudenza civile sia quella tributaria sono univoche e costanti nel riconoscere all’autenticazione una presunzione di appartenenza della sottoscrizione dell’atto difensivo al difensore medesimo, qualora la firma sia apposta dalla parte o sia addirittura illeggibile (Cassazione, sentenza 18241/2004).

Corretto sembra anche il mancato riconoscimento di "effetto sanante" al successivo incarico conferito oralmente, ex articolo 12, quinto comma. La norma, infatti, permette solo alla parte che abbia sottoscritto – legittimamente e senza delega ad assistente tecnico – ricorso per controversia di valore inferiore ai "vecchi" cinque milioni di lire di munirsi successivamente di difensore (così anche la Ctp di Salerno, sezione I, sentenza 584/1996), ma non sembra poter costituire un "salvagente" per sottrarsi a ipotesi di nullità o inammissibilità dell’atto introduttivo o dell’appello.

Antonino Russo – Nuovo Fisco Oggi

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