Registro, via libera all’avviamento

Ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, il valore dell’avviamento di un’azienda non può essere – presuntivamente – minore di quello determinato in base al criterio della media dei ricavi del triennio antecedente, dettato dal Dpr 460/1996.
Lo ha stabilito la Suprema corte con la sentenza 20280 del 23 luglio 2008, confermando la “correttezza” del comportamento dell’ufficio e, di conseguenza, di una prassi oramai consolidata.

Il Dpr 460/1996
Pur in assenza di una definizione normativa dell’avviamento, il legislatore è intervenuto in materia con il Dpr 460/1996, che contiene il regolamento per l’attuazione delle disposizioni previste in materia di accertamento con adesione, con riferimento alle imposte indirette diverse dall’Iva, vale a dire le imposte sulle successioni e donazioni, l’imposta di registro, l’imposta ipotecaria, l’imposta catastale e quella comunale sull’incremento di valore degli immobili.
L’articolo 2 del decreto stabilisce che è possibile quantificare il valore dell’avviamento sulla base degli elementi desunti dagli studi di settore o, in mancanza, sulla base della percentuale di redditività applicata alla media dei ricavi accertati o, in difetto, dei ricavi dichiarati ai fini delle imposte sui redditi negli ultimi tre periodi d’imposta precedenti quello nel quale si è verificato l’avvenimento del trasferimento dell’azienda. Tale percentuale deve essere moltiplicata per tre.

Si fa presente che la percentuale di redditività non può essere inferiore al rapporto tra il reddito d’impresa e i ricavi accertati (o, in mancanza, dichiarati) ai fini delle stesse imposte e nello stesso periodo d’imposta. Tuttavia, è previsto che il moltiplicatore venga abbassato da tre a due al verificarsi di circostanze tassativamente identificate:

se emergono degli elementi validamente documentati, che risultino tali da giustificare la diminuzione del moltiplicatore stesso
qualora l’attività sia iniziata entro i tre periodi d’imposta antecedenti l’evento del trasferimento
quando l’attività non è stata esercitata nel periodo d’imposta anteriore a quello in cui è avvenuto il trasferimento per almeno la metà del normale periodo
qualora la durata residua del contratto di locazione dei locali adibiti all’attività commerciale risulti inferiori a dodici mesi.
La giurisprudenza in materia
Il metodo del riferimento al volume d’affari nel triennio antecedente soddisfa, sentenze alla mano, tanto i requisiti motivazionali quanto quelli probatori (soprattutto in mancanza di specifiche contestazioni di merito volte a far emergere una differente situazione concreta confliggente con quella risultante dall’applicazione del criterio).

Per quanto attiene la motivazione dell’atto, “Il requisito motivazionale dell’accertamento esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta soltanto l’indicazione di fatti astrattamente giustificativi di essa, restando poi affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (nel caso di specie l’ufficio ha motivato un avviso di accertamento di maggior valore per avviamento commerciale, nell’ambito di un conferimento di azienda individuale all’interno di una Srl, utilizzando i dati concernenti il fatturato ed i ricavi dell’ultimo triennio dell’attività)” (Cassazione, sentenza 2439/2001).

Sotto il profilo probatorio, la giurisprudenza di merito ha ritenuto che “il riferimento al volume d’affari dichiarato dal cedente nel triennio antecedente la cessione è certamente un parametro obiettivo, non arbitrario o presunto” (Ctr Lazio, sentenza 96/2002).

La sentenza della Cassazione 20280/2008
I giudici hanno ricordato che “con i criteri per la determinazione del valore di avviamento di un’azienda, fissati dal regolamento, reso con il Dpr n. 460 del 1996, art. 2 per l’attuazione dell’accertamento con adesione di cui al Dl n. 564 del 1994, convertito in legge n. 656 del 1994, il legislatore ha inteso fornire i valori minimi cui l’Amministrazione finanziaria deve attenersi nella procedura transattiva che conduce ad un accertamento con adesione, ciò nella consapevolezza del fatto che solo la proposta di valori inferiori a quelli effettivi e riscontrabili in esito ad un ordinario contenzioso può realisticamente indurre il contribuente ad una soluzione adesiva. Sicché, utilizzati al di fuori della procedura adesiva, a tali valori va riconosciuto carattere presuntivo nel senso che l’effettivo valore di accertamento non sia inferiore a quello cui si perviene mediante la loro applicazione” (nello stesso senso le sentenze 16705/2007, 3505/2006 e 613/2006).

In conclusione, ben può tenersi conto, ai fini dell’apprezzamento dell’adeguatezza della motivazione e della prova del maggior valore dell’avviamento di un’azienda, di criteri di valutazione recepiti dallo stesso legislatore in norme, sia pure non direttamente applicabili alla fattispecie (quali, appunto, l’articolo 2, comma 4, del Dpr 460/1996), ma idonei a confermare la validità teorica del criterio in concreto seguito.

In altri termini, la congruità del criterio adottato nell’accertamento dell’avviamento è desumibile anche dall’adozione di criteri indicati dal legislatore per la valutazione dello stesso bene, sia pure con riferimento a una legislazione non direttamente applicabile alla fattispecie, trattandosi di norma enucleata nell’ambito della disciplina dell’accertamento con adesione ai fini delle imposte indirette.

Domenico Riccio – Fisco Oggi

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