Paradisi fiscali: per il fisco conta il luogo dove si decide

Sul luogo di residenza delle società esterovestite (articolo 73 Dpr 917/1986), è stata chiamata a pronunciarsi la giurisprudenza di merito (Ctp di Savona) che, con la sentenza n. 46 depositata il 10 marzo, ha fornito un importante contributo.

Il caso riguarda una società di diritto lussemburghese, la quale pagava le imposte nel piccolo Principato e prendeva, però, le decisioni effettive nello Stato italiano.
La Ctp di Savona ha affermato con chiarezza il principio per cui non importa che una società presenti all’estero alcuni elementi o strutture puramente amministrative, ciò che conta è dove effettivamente vengono prese le decisioni che determinano la vita della società.

Tuttavia, al fine di comprendere pienamente la sentenza in esame è necessario analizzare più nello specifico i dati che secondo la giurisprudenza devono far propendere per l’individuazione in Italia della residenza di una società formalmente posta all’estero.

A. Gli elementi che la società dichiarava indicativi della residenza all’estero, in quanto si trovavano tutti in Lussemburgo, erano sede formale, luogo di verbalizzazione di assemblee e consigli di amministrazione, luogo di tenuta della contabilità, presenza di conti bancari e utenze intestate alla società. Qui si fermano i requisiti (tutti evidentemente formali) che avrebbero dovuto testimoniare il legame della società con il territorio lussemburghese.
B. L’ufficio, dal canto suo, disponeva di svariati elementi che denotavano come le decisioni effettive sulla vita della società venivano tutte assunte in Italia. In particolare, durante la verifica svolta presso l’abitazione dell’amministratore e di un socio, erano stati rinvenuti diversi documenti chiaramente indicativi del fatto che in Lussemburgo gli organi formali della società si limitavano a ratificare ciò che di volta in volta decidevano i soggetti operanti in Italia.

A tal proposito, l’ufficio rilevava che:

  • la società aveva sempre avuto uno o due dei tre membri del consiglio di amministrazione sempre italiani e sempre residenti in Italia
  • gli amministratori stranieri della società avevano sempre avuto l’obbligo di firma congiunta con quelli italiani, mentre per questi ultimi vi era potere di firma singola/disgiunta
  • tutti i soci, fino alla fine del 2006, erano sempre stati italiani e, solo nel 2007 (in concomitanza con l’entrata in vigore delle presunzioni dell’articolo 73, commi 5-bis e 5-ter del Tuir), entravano nella compagine altre due società lussemburghesi con sede entrambe allo stesso indirizzo della prima società
  • la società possedeva partecipazioni in società tutte italiane
  • tutti i negozi giuridici e gli atti di trasferimento di quote in cui era parte la società erano sempre stati stipulati e registrati in Italia
  • in tutte le assemblee della società, formalmente svolte in Lussemburgo, non risultavano mai presenti i soci, se non mediante procure, e neppure gli amministratori italiani
  • durante la verifica presso le abitazioni dell’amministratore e di un socio, venivano rinvenute numerose e-mail indirizzate da questi ultimi a soggetti operanti in Lussemburgo dalle quali emergeva chiaramente che le decisioni gestionali venivano tutte assunte in Italia e solo formalmente riportate poi in documenti lussemburghesi.

La Ctp di Savona, avendo "sul tavolo" questi elementi, ha enunciato quanto segue.
"E’ sicuramente vero, infatti, che la società ha costituito la propria sede legale in Lussemburgo, ove non risulta contestata la disponibilità di locali ed utenze, conti correnti presso istituti locali, ha svolto nel territorio lussemburghese assemblee societarie. Si tratta, tuttavia, soltanto di elementi meramente formali, non risultando provato che all’estero la società abbia posto in essere atti fondamentali per la gestione della società, quali appunto, l’esistenza di contratti ed ogni altro atto significativo di una concreta operatività della società all’estero.
Gli elementi formali, indubbiamente esistenti, indicati dalla società sono stati superati dalla prova fornita dall’Amministrazione circa il luogo in cui effettivamente venivano adottate le decisioni fondamentali per la vita della società e delle controllate.
La documentazione richiamata, infatti, prova che gli atti di gestione della società e delle controllate venivano adottati da soggetti italiani, che espressamente affermavano che le stesse avrebbero dovuto essere ratificate dal Consiglio di amministrazione, in capo al quale veniva esclusa, pertanto, la sussistenza di un potere decisionale: ovviamente, in considerazione della complessa struttura societaria e della pluralità di imprese controllate, è normale che, al fine di rispettare il requisito formale della sede sociale, all’estero venisse data esecuzione a decisioni adottate nel nostro paese.
Gli elementi indicati dalla parte ricorrente non risultano decisivi a provare che la società fosse effettivamente residente all’estero, assumendo gli stessi, anche in considerazione della diligente opera di pianificazione fiscale di tale complessa vicenda, un ruolo meramente esecutivo
".

Infine, dopo aver individuato la sede effettiva della società in Italia, la Commissione tributaria ha concluso affermando un altro importante principio per cui, se la società formalmente residente all’estero ha, nel frattempo, pagato le imposte in Lussemburgo, è comunque tenuta a versarle anche in Italia, salvo poi chiedere il rimborso in Lussemburgo, senza che ciò violi il divieto della doppia imposizione, in applicazione dell’articolo 4, paragrafo 3, della Convenzione Italia-Lussemburgo del 3/6/1981, ratificata con legge 747/1982.

Sull’argomento, dunque, anche la Ctp di Savona ha confermato un indirizzo sposato anche da altra giurisprudenza di merito (cfr Ctp di Reggio Emilia, sentenza 197 dell’11/8//2009) per cui: "in caso di attribuzione contemporanea al medesimo soggetto della residenza fiscale in entrambi gli Stati interessati (c.d. dual residence), in presenza di una convenzione contro le doppie imposizioni come nel caso in esame, la questione deve essere risolta applicando l’art. 4, par. 3 del predetto accordo bilaterale, il quale statuisce che la società si considera residente nel luogo dove viene svolta l’attività di direzione effettiva (c.d. sede di direzione effettiva) vale a dire l’attività di direzione amministrazione e coordinamento dei fattori produttivi aziendali".
 

Fonte: Dario Palma da nuovofiscooggi.it
 
 

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