Operazioni inesistenti, l’assegno non paga

Se l’Amministrazione finanziaria contesta al contribuente la deduzione indebita di costi per operazioni inesistenti, la prova della legittimità e della correttezza delle detrazioni deve essere fornita dal contribuente. Tale prova non può, però, essere costituita dalla sola esibizione dei mezzi di pagamento, che normalmente vengono utilizzati fittiziamente e che rappresentano un mero elemento indiziario, la cui presenza (o assenza) deve essere valutata nel contesto di tutte le altre risultanze processuali. Lo ha stabilito la Cassazione, con la sentenza n. 21303 del 7 agosto 2008.

La vertenza nasce a seguito della notifica a una società di tre avvisi di accertamento, conseguenti alla ripresa a tassazione di passività direttamente connesse, tra le altre, a operazioni inesistenti.
La società ricorreva in Ctp argomentando che le operazioni commerciali in questione erano state effettuate per suo conto da una società collegata e che l’eventuale fittizietà dei rapporti tra questa e il soggetto terzo non potevano avere rilevanza nei suoi riguardi. Nessuna di tali operazioni poteva, pertanto, essere ritenuta fittizia e la deduzione dei costi “incriminati” era legittima.
L’ufficio finanziario eccepiva l’infondatezza dell’opposizione, in considerazione dell’accuratezza delle indagini svolte dalla Guardia di finanza (sul cui verbale si erano basati gli accertamenti impugnati).

La Ctp accoglieva il ricorso, con sentenza che veniva confermata dal giudice di appello, il quale osservava che le operazioni fittizie non potevano dedursi da quelle presunte tali, riguardanti prestazioni di altre società, ancorché collegate, incombendo sull’Amministrazione l’onere di fornire la prova del proprio assunto.

Quest’ultima esperiva quindi ricorso per cassazione sulla base di un unico articolato motivo, deducendo che:

a) il giudice di merito non avrebbe considerato che anche a fronte di una contabilità apparentemente regolare, l’Amministrazione può procedere ad accertamento attraverso elementi acquisiti aliunde, comprese le presunzioni, senza che queste debbano presentare i requisiti di gravità, precisione e concordanza
b) il giudice di appello non avrebbe indicato le ragioni in virtù delle quali ha ritenuto che le operazioni inesistenti fossero state realmente poste in essere, nonostante che l’ufficio avesse fornito sufficienti elementi diretti in modo non equivoco a confermare la fittizietà delle operazioni, con ciò ribaltando sull’Amministrazione l’onere della prova ricadente invece sul contribuente.
La pronuncia della Cassazione
Come anticipato, la Suprema corte ha ritenuto fondati i motivi di ricorso dell’Amministrazione, proseguendo sulla linea dura in relazione alla falsa fatturazione di operazioni commerciali surrettiziamente poste in essere (cfr sentenze 15395, 15438 e 18423 del 2008).

Per dimostrare che le operazioni contestate siano effettive e dirette, il contribuente non può limitarsi a mostrare soltanto “i mezzi di pagamento” con i quali avrebbe acquistato beni o servizi, poiché tali sistemi “vengono normalmente utilizzati fittiziamente e pertanto rappresentano un mero indizio”.

In sostanza, la non veridicità delle operazioni effettuate costituisce un ostacolo che non è superabile con la semplice esibizione in giudizio dei mezzi di pagamento eseguiti dal contribuente, i quali sono da ritenere, se non accompagnati da ulteriori elementi rafforzativi, inadeguati e insufficienti ai fini probatori. Insomma, i sistemi di pagamento, chiarisce la Corte, possono al limite essere usati come meri indizi dell’esistenza delle operazioni ma devono necessariamente essere suffragati da altri dati, magari riscontrabili in contabilità.

Salvatore Servidio – Fisco Oggi

 

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