Incentivo all’esodo. Facciamo il punto

"Per le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori che abbiano superato l’età di cinquanta anni se donne e di cinquantacinque anni se uomini…l’imposta si applica con l’aliquota pari alla metà di quella applicata per la tassazione del trattamento di fine rapporto e delle altre indennità e somme…". Lo stabiliva l’articolo 19, comma 4-bis, del Tuir. Al fine di eliminare i profili di incompatibilità della normativa nazionale con quella comunitaria, evidenziati dalla Corte di giustizia con la sentenza n. C-207/04, il legislatore è intervenuto, con il "Visco-Bersani", abrogando la disposizione, facendo però salvi i diritti di coloro che avevano già contrattato un piano incentivato di esodo.

Sintetizzando, per effetto dell’articolo 36, comma 23, del Dl 223/2006, con efficacia dal 4 luglio del 2006 (data di entrata in vigore del decreto legge), è stata disposta l’abrogazione del comma 4-bis dell’articolo 19 del Tuir, concernente la disciplina fiscale applicabile agli incentivi erogati ai lavoratori dipendenti per la cessazione anticipata del rapporto di lavoro, eliminando così la differenziazione di trattamento tra donna e uomo e stabilendo che per tutti l’agevolazione spettasse solo a partire dal cinquantacinquesimo anno di età.

La Ctp di Firenze, con la sentenza n. 99/16/08 del 25/6/2008, è però intervenuta nuovamente sulla questione, accogliendo il ricorso di un contribuente e affermando che "la direttiva 9 febbraio 1976, 76/207/CEE è di immediata applicabilità e l’interpretazione che ne ha dato la Corte di Giustizia nella suddetta sentenza è vincolante per i giudici italiani…". Per cui è da "disapplicare l’art. 17 (ora 19), comma 4 bis del DPR 917/86 nella parte che prescrive il superamento dell’età di 55 anni per gli uomini, per cui l’agevolazione dell’aliquota va applicata ai lavoratori, sia uomini sia donne che abbiano superato l’età di 50 anni, a nulla rilevando l’intervento del legislatore nazionale con il DL 223/06, convertito in L. 248 del 04 agosto 2006 con l’art 36 comma 23 che ha abrogato il comma 4 bis dell’art 19 del Tuir con effetto solo per il futuro salvaguardando i rapporti di imposta i cui presupposti impostivi sono sorti prima del 04/7/2006, data di emanazione del DL 223/06…".

La vicenda all’esame della Commissione tributaria riguardava un contribuente che, all’età di 53 anni, aveva convenuto la risoluzione consensuale dal rapporto di lavoro, percependo un assegno straordinario di sostegno erogato mensilmente dall’Inps sino alla data di maturazione del diritto alla pensione.
Su tali prestazioni, l’Inps, in qualità di sostituto di imposta, aveva operato ritenute Irpef con aliquota pari a quella applicata per la tassazione ordinaria del Tfr. Il contribuente, ritenendo che tale normativa fosse in contrasto sia con gli articoli 3 e 53 della Costituzione sia con la sentenza della Corte di giustizia, chiedeva il rimborso di una somma pari, appunto, alla metà delle ritenute applicate in quegli anni.

La sentenza della Ctp di Firenze risulta comunque in contrasto con le più recenti decisioni di merito di altre Commissioni tributarie, provinciali e regionali.
L’erroneità delle conclusioni dei giudici fiorentini è stata, ad esempio, confermata dalla dodicesima sezione della Ctp di Bologna che (sentenza n. 75 del 21/4/2008) ha stabilito come la pronuncia della Corte di giustizia non avesse determinato l’applicazione della norma agevolativa agli uomini.
Tale sentenza infatti, continua la Ctp di Bologna, "si è limitata ad affermare che non è conforme alla direttiva europea 79/207/CEE del 9 febbraio 1976 la norma che introduce un’agevolazione fiscale trattando diversamente l’uomo e la donna in ragione della loro età. In questo caso, la norma si rivelava più favorevole per le donne consentendo loro di fruire dell’aliquota agevolata alla più giovane età di 50 anni rispetto a quella più elevata degli uomini, fissata a 55 anni. Ma la censurata disparità di trattamento non significa affatto che, automaticamente, la norma agevolativa si applichi agli uomini; nulla vieta infatti di ipotizzare che la disparità di trattamento possa essere eliminata (come in effetti è successo) parificando al rialzo, ai fini fiscali, la situazione di uomini e donne. Del resto, le norme agevolative – rispetto al regime ordinario – hanno carattere tassativo perché derogano ad un principio generale (e anche perché importano un minor gettito per l’Erario) e quindi sono di stretta interpretazione, nel senso che non possono essere applicate utilizzando la chiave di lettura dell’interpretazione analogica".

La Ctp di Bologna non poteva essere più chiara e giuridicamente ineccepibile.

Nella citata sentenza C-207/04 del 21 luglio 2005, la Corte di giustizia affermava, infatti, semplicemente che la direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/Cee, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, la formazione e la promozione professionali e le condizioni di lavoro, "deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una norma quale quella di cui all’art. 19, comma 4-bis del Tuir che consente, a titolo di incentivo all’esodo, il beneficio della tassazione con aliquota ridotta alla metà delle somme erogate in occasione dell’interruzione del rapporto di lavoro ai lavoratori che hanno superato i cinquanta anni, se donne, e i cinquantacinque anni, se uomini" (di tale direttiva comunitaria, peraltro, è stata anche disposta l’abrogazione, con decorrenza 15 agosto 2009, a opera della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 luglio 2006, n. 2006/54/Ce).

In sostanza, la Ctp di Firenze, con la sentenza n. 99/16/08, ha disapplicato una norma interna, sulla base di un’errata interpretazione di una direttiva comunitaria, a cui la stessa norma interna si era già conformata (abrogando la precedente dichiarata illegittima da parte della Corte di giustizia) e di cui comunque, fra pochi mesi, è già stata anche disposta l’abrogazione dallo stesso Parlamento europeo.

Quello che, quindi, la direttiva aveva censurato non era la maggiore aliquota applicata nei confronti degli uomini, ma la differenza di trattamento nei confronti delle donne.

Tale (a dire il vero, abbastanza evidente) conclusione è stata recentemente confermata anche dalla Ctr del Piemonte, che, con la sentenza n. 62/28/07 del 7 marzo 2008, ha accolto l’appello dell’ufficio, sottolineando che "la Corte di Giustizia si è limitata ad affermare che non sono legittime le discriminazioni fondate sul sesso" e ha definito l’ipotesi di abbassamento della soglia del beneficio ai cinquanta anni anche per gli uomini una "forzatura" che comporta un indebito superamento delle competenze del giudice tributario, a cui non è concesso "di sostituirsi al legislatore".

Giovambattista Palumbo – Fisco Oggi

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