Il marito è corrotto ed evasore, il conto lo paga anche la moglie

Nel caso in cui sia stata posta in essere la misura della confisca prevista dagli articoli 322-ter del codice penale e 12-sexies del Dl 306/1992, non giova al contribuente una contestazione generica in ordine alla titolarità di somme di denaro detenute presso istituti di credito in conti cointestati con il coniuge convivente, dovendosi fornire concreta dimostrazione dell’imputazione in parti uguali del saldo attivo, al pari della disponibilità delle somme depositate su conti correnti intestati al coniuge.
Con la sentenza n. 44940 del 2 dicembre 2008, la Cassazione (sezione penale) è, pertanto, arrivata a una nuova e ancora più dura presa di posizione sulla confisca per equivalente.
In particolare, i giudici hanno affermato che è legittimo il sequestro dei conti correnti bancari personali della moglie dell’imprenditore corrotto e, altresì, accusato di evasione fiscale.
Tale "operazione" è fattibile, sebbene alla donna non sia direttamente o indirettamente imputabile il giro di affari del marito.

Il caso
In particolare, la Suprema corte ha confermato una serie di sequestri disposti nei confronti di tre imprenditori, e della moglie di uno di questi, nell’ambito di una associazione per delinquere sgominata dalla Guardia di finanza del nucleo operativo di Brescia, che aveva portato agli arresti dei tre imputati e alla confisca dei conti bancari della moglie di uno degli accusati (oltre ai conti della società e agli immobili).

La confisca delle somme depositate sui conti correnti è avvenuta sulla base, come anticipato, degli articoli 322-ter del codice penale e 12-sexies del Dl 8 giugno 1992, n. 306 (convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356). Norme che prevedono, tra l’altro, la confisca obbligatoria dei beni di cui abbia la disponibilità chi sia stato condannato (o colui al quale sia stata applicata la pena ex articolo 444 cpp) per il delitto di corruzione.

La difesa
I ricorrenti avevano contestato la legittimità della confisca – ex articolo 322-ter, comma 1 – delle somme di danaro depositate sul conto corrente bancario intestato alla sola moglie dell’imputato. Infatti, secondo gli avvocati, la norma opererebbe solo con riguardo ai beni nella disponibilità dell’imputato e non già nei confronti di beni intestati a un terzo estraneo al reato, come nel caso di specie.

I ricorrenti avevano, inoltre, evidenziato come il Gip, nel dispositivo per la confisca dei beni, avesse richiamato e applicato il decreto legge 306/1992, articolo 12-sexies, di cui non si era data alcuna giustificazione nella motivazione, in cui era stato richiamato solo l’articolo 322-ter codice penale.
Per la difesa dei coniugi, quindi, sembrava evidente la contraddittorietà e la mancanza di motivazione.

In ogni caso, qualora si fosse ritenuto applicabile il Dl 306/1992, articolo 12-sexies, il provvedimento sarebbe stato privo di motivazione, in quanto il Gip non aveva indicato alcuna ragione sulla base della quale ritenere le somme di danaro, depositate sul conto corrente bancario intestato alla sola moglie, nella disponibilità dell’imputato. In proposito – ribadivano i difensori – non opererebbe alcuna presunzione, trattandosi di beni formalmente intestati a terzi.

La motivazione
Nessun problema per il denaro depositato sui conti correnti cointestati all’imprenditore e alla moglie, spiega la Suprema corte. La mera contestazione non può, in mancanza di una prova che dimostri la reale consistenza degli incrementi di propria pertinenza, accreditare la presunzione che le somme in deposito siano spettanti a ciascuno dei cointestatari in parti uguali.

Nel caso esaminato, essendo il cointestatario la moglie convivente dell’imputato, era evidente che il marito ne avesse comunque la disponibilità piena (si vedano in tal senso le sentenze della Cassazione, sezione 6, n. 40175 del 14 marzo 2007 e n. 24633 del 29 marzo 2006).

Corretta e logica – e non sindacabile in sede di legittimità, anche a fronte delle generiche e apodittiche affermazioni a sostegno del ricorso sul punto – appare, poi, la decisione del Gip di convalidare il sequestro, dato che l’imputato aveva sicuramente anche la disponibilità del denaro depositato sul conto corrente intestato alla moglie con lui convivente.

Boris Bivona – Fisco Oggi

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