Differenze inventariali, poche ma buone per il Fisco

Il riscontro di differenze di magazzino, in sede di verifica, è di per sé idoneo a far presumere l’esistenza di ricavi corrispondenti alle merci non giacenti. Non ha rilevo che la differenza sia "modesta", posto che nessuna norma di legge pone una soglia minima per l’esercizio del potere dell’ufficio di accertare una pretesa fiscale maggiore di quella dichiarata né, comunque, per non considerare ricavi i corrispettivi derivanti dalla cessione dei beni prodotti, desumibile dall’inesistenza in magazzino di quei beni. A tali conclusioni sono pervenuti i giudici di legittimità con la sentenza n. 21154 del 20 marzo 2008, depositata il 6 agosto scorso.

La controversia
L’agenzia delle Entrate aveva recuperato a tassazione ricavi non contabilizzati sulla base delle differenze di magazzino riscontrate in sede di verifica fiscale presso la società. L’avviso di accertamento veniva però annullato dalla Ctp (le cui conclusioni erano condivise dalla Commissioni tributaria regionale) che conveniva sull’illegittimità del rilievo, sulla considerazione che le differenze di magazzino rilevate in sede di verifica e contestate come ricavi non contabilizzati, talmente modeste rispetto ai volumi movimentati, non giustificavano la rettifica.

La sentenza della Cassazione
La Suprema corte ha accolto il ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria, stabilendo il principio secondo cui il riscontro di differenze di magazzino è idoneo a far presumere l’esistenza di ricavi corrispondenti alle merci non rinvenute. La considerazione che le differenze rilevate in sede di verifica erano talmente modeste rispetto al numero di volumi movimentati da non giustificare la rettifica da parte dell’ufficio, conduce inevitabilmente alla violazione dell’articolo 53 del Tuir (attualmente, articolo 85), norma che stabilisce come siano considerati ricavi i corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi. Accettare la tesi difensiva dalla società contribuente, fatta propria dai giudici di primo e secondo grado pur confermando l’effettività materiale delle differenze riscontrate, vorrebbe dire, cioè, negare all’ufficio il potere di rettificare la dichiarazione.

Le "differenze inventariali" dei beni merce, consistenti nella differenza tra l’inventario "fisico" dei beni in magazzino e le risultanze delle apposite scritture contabili, assumono rilevanza sia ai fini della determinazione del reddito d’impresa sia ai fini dell’operatività della presunzione di cessione prevista dall’articolo 53 del Dpr 633/1972, nonchè dal Dpr 441/1997. Presunzione che è possibile vincere con l’adozione di adeguate procedure di rilevazione; le stesse che permettono di fornire la documentazione "idonea" ai fini della determinazione del reddito.

L’Amministrazione finanziaria si è occupata della problematica relativa alle differenze inventariali con la circolare n. 31/E del 2 ottobre 2006, richiamandosi a quanto stabilito dall’articolo 2 del Dpr 441/1997, fissando i limiti alla prova che il contribuente può addurre per superare la presunzione di legge. Tale presunzione, infatti, può essere vinta mediante idonea documentazione fornita da un organo della Pubblica Amministrazione ovvero da una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, da rendersi entro trenta giorni dal verificarsi dell’evento o dalla data in cui se ne ha conoscenza, dalle quali risulti il valore complessivo dei beni mancanti, salvo l’obbligo di fornire, a richiesta dell’Amministrazione finanziaria, i criteri e gli elementi in base ai quali detto valore è stato determinato.

Tuttavia, la citata circolare interviene in maniera più innovativa nel campo della grande distribuzione, specificando che le aziende operanti in tale settore non sono tenute all’obbligo del mantenimento della contabilità di magazzino per i depositi dei singoli punti vendita che non fungono anche da magazzini interni centralizzati, e in tali casi "non si può ritenere operante la presunzione di cessione disposta dall’art. 4, comma 2, del d.P.R. n. 441 del 1997", chiarendo, però, che ciò non significa che non opera alcuna presunzione.

In sostanza, la Cassazione, in piena linea con la ratio del dettato normativo, ha chiarito che l’ufficio è legittimato a fondare la ripresa a tassazione a titolo di ricavi non contabilizzati sulla base del riscontro di differenze di magazzino. Tale potere non può essere limitato nel caso in cui le differenze siano modeste rispetto al numero dei volumi movimentati, poiché nessuna norma pone una soglia minima ai fini dell’accertamento di una pretesa fiscale maggiore di quella dichiarata dal contribuente.

Claudia Giangualano – Fisco Oggi 

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