Credito Iva, incedibile se da compensare

L’articolo 30 del Dpr 633/1972 prevede che, di regola, il credito Iva sia detratto, nell’anno successivo, dal debito risultante dalla dichiarazione relativa all’anno in corso. Ciò comporta che il credito si colleghi inscindibilmente alla posizione fiscale del contribuente che lo ha maturato, essendo destinato a divenire uno degli elementi determinanti dell’esistenza e della consistenza del suo debito d’imposta per l’anno successivo. Il credito Iva dichiarato da un contribuente non potrà, pertanto, concorrere alla determinazione delle detrazioni spettanti, per l’anno successivo, a un contribuente diverso, anche se questi è il cessionario dell’azienda alla quale il credito d’imposta si riferisce.

E’ la posizione della Cassazione, espressa nella sentenza n. 9961/2008, a sposare, sostanzialmente la tesi, in materia, dell’Amministrazione finanziaria che legava l’impossibilità di cedere il credito Iva da compensare a esigenze di trasparenza e certezza. In proposito, la pronuncia giunge a precisare, dapprima, che "la compensazione, in tema di IVA, non è ammessa nella legislazione tributaria se non nei limiti nei quali è esplicitamente regolata, non potendo derogarsi al principio secondo cui ogni operazione di versamento, di riscossione e di rimborso ed ogni deduzione sono regolate da specifiche inderogabili norme di legge" e, poi, che "l’analitica regolamentazione dettata in tema di IVA per esigenze antielusive trova base logica (…) nel limite, posto in via generale dal D.P.R. n. 633/72, art. 30, comma 2, di "computare l’importo dell’eccedenza in detrazione dell’anno successivo", stante che, la contiguità dei due periodi, rende riconoscibile e controllabile da parte dell’ufficio la complessiva posizione del contribuente nell’arco del biennio di riferimento".

Il caso
La vicenda processuale trae origine da un contratto di cessione di azienda, all’interno della quale le parti avevano ricompreso un credito Iva vantato dal cedente e da questi indicato nella propria dichiarazione annuale come credito d’imposta da portare in detrazione nell’anno successivo.
L’anno seguente, per effetto della cessione aziendale, il credito veniva portato in detrazione dal cessionario, che lo compensava con l’imposta risultante a debito, ai sensi dell’articolo 30, Dpr 633/1972.
L’ufficio rettificava la dichiarazione del cessionario, disconoscendo la detraibilità del credito d’imposta così acquisito.

Il contribuente impugnava l’atto impositivo dinanzi alla Ctp, che accoglieva il ricorso ritenendo che, con l’acquisto dell’azienda, la cessionaria fosse subentrata in tutti i rapporti giuridici facenti capo alla cedente e, perciò, anche nella titolarità del credito Iva.

La sentenza dei giudici di prime cure veniva riformata dalla Commissione tributaria regionale, che giudicava corretto l’avviso di rettifica, in quanto la "cessione" in oggetto doveva considerarsi vietata dall’articolo 5, comma 4-ter, del Dl 70/1988.

Il contribuente impugnava la sentenza in Cassazione, lamentando, in particolare, che la stessa non avrebbe considerato la cessione d’azienda operata quale "complesso unitario di diritti e di beni, materiali ed immateriali, attivi e passivi, organizzati e funzionalmente collegati con l’esercizio dell’attività economica"; la cessionaria, pertanto, sarebbe subentrata in tutti i rapporti e diritti esistenti nel patrimonio dell’azienda ceduta, inclusi i crediti verso terzi, ai sensi dell’articolo 2559 del Codice civile.

La Suprema corte, come anticipato, ha, alla fine, respinto il ricorso.

Considerazioni
Il dibattito sulla legittimità della cessione del credito Iva ha generato non poche discussioni tra gli operatori del diritto tributario. Alla posizione favorevole di taluni, basata sull’efficacia obbligatoria della cessione ai sensi degli articoli 1260 e seguenti del Codice civile, si contrapponeva la tesi dell’Amministrazione finanziaria che, in virtù di una rigorosa interpretazione dell’articolo 5, comma 4-ter, del Dl 70/1988, limitava tale possibilità esclusivamente ai crediti Iva chiesti a rimborso nella dichiarazione annuale.

Le ragioni del limite individuato dall’agenzia delle Entrate risiedono in chiare esigenze di trasparenza e certezza. Come spiegato nella risoluzione 279/2002, "Prima che sia presentata la dichiarazione annuale, infatti, l’Amministrazione non può sapere se il credito formatosi negli anni precedenti e nell’esercizio in corso sia stato o meno utilizzato in compensazione di eventuali debiti tributari e previdenziali: il credito IVA spettante diviene, infatti, certo e definito solo al momento della sua esposizione in dichiarazione, cristallizzandosi nella scelta operata dal contribuente tra le alternative in proposito offerte dall’ordinamento (riporto del credito o richiesta di rimborso)".

Una posizione interpretativa che, alla luce della sentenza in commento, è da giudicare corretta.

Domenico Bitonti – Fisco Oggi

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